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Chiaramontesi lontani: Missione in Madagaskar |
Scritto da Carlo Patatu |
Giovedì 14 Ottobre 2010 20:21 |
Il sacerdote chiaramontese Francesco Soddu, arciprete della cattedrale di Sassari, in visita alla missione manzelliana di Isifotra
Monsignor Francesco Soddu è appena rientrato da una visita alla missione cattolica di Isifotra, nell’isola africana di Madagaskar. Ne dà notizia egli stesso in un articolo sull’ultimo numero di "Padre Manzella oggi", periodico sassarese edito dalle suore manzelliane. Che curano la missione.
Costruire un ponte fra quella struttura missionaria e la diocesi turritana. L'idea gli frullava in testa da tempo. Don Francesco l’ha coltivata a lungo. Finché non è riuscito a concretizzarla, muovendo il primo passo.
Contattata la Caritas nazionale e col parere favorevole dell'arcivescovo, fissa la partenza per il 7 Luglio. Lo accompagna il seminarista Alessandro Pilo, che si tratterrà in Africa più a lungo. Sosta di un giorno a Roma per la coincidenza del volo e poi via! Da Fiumicino a Parigi e Antananarivo, capitale del Madagaskar.
Lunghe ore di volo lo portano in terra malgascia. Quindi due giorni di viaggio avventuroso in automobile per raggiungere la missione. Strade appena abbozzate solcano foreste rigogliose e stupefacenti. Provare per credere. Quasi un percorso di guerra: Antananarivo, Antsirabe, Ihoshy.
Qui la prima accoglienza, molto calorosa, delle suore e di padre Razzu, cappellano della missione. Si riprende la strada per Isifotra, destinazione finale. All’arrivo, strette di mano e tanti "tongasoa monpera!", benvenuto! Poi il soggiorno in una capanna umile. Il richiamo evangelico è forte. L'emozione pure.
Un silenzio profondo avvolge le notti di quei luoghi magici. Dove è più agevole meditare, discutere, scambiarsi opinioni. La civiltà occidentale è lontana. Molto lontana. Niente televisione, niente giornali e niente telefono. Neppure portatile.
Le giornate africane di monsignor Soddu scorrono velocemente con la celebrazione della messa, l’amministrazione dei sacramenti, la visita delle comunità, con riguardo particolare ai malati. Dovunque circondato e seguito da uno stuolo di bambini. Tanti bambini. Quanti da noi non se ne vedono più.
Giunge infine il giorno del rientro. Il tempo passa veloce. La cerimonia di congedo è fatta di parole pronunciate in malgascio. Anche da don Francesco. "Dio solo sa con quale stato d'animo... - dice -; posso dire che l'emozione della circostanza sia stata simile a quella provata il giorno della mia prima messa".
Pur nella brevità del soggiorno, il Madagaskar gli è ormai familiare. Gli pare che quel pezzo d'Africa, sebbene molto lontano da qui, si trovi a due passi appena dalla sua Sardegna. È un fatto: lì si sente a casa propria.
La ripartenza. Non un addio, ma "veloma", arrivederci. È questo l’augurio di padre Razzu e delle suore missionarie; ma anche della comunità, che vive in letizia la propria povertà.
“Veloma, amici del Madagaskar – riesce a balbettare commosso don Francesco -. Veloma al prossimo anno. Se Dio vorrà”.
Nota: le foto sono tratte dalla rivista "Padre Manzella oggi", anno XII n. 3
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Ultimo aggiornamento Giovedì 30 Novembre 2017 09:59 |
Carissimo maestro Carlo. Ho cercato in tutti gli articoli e racconti pubblicati e non ho trovato dove inserire ciò che più mi manca. Mi mancano assai le sue pillole di saggezza, come lo era allora. Oggi può solo essere migliorato. La prego si attivi al più presto.
La saluto cordialmene alla vecchia maniera con vera ammirazione e stima.
Salvatore quel de Milan
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Caro Tore, chi è vecchio finisce col vivere di ricordi (belli o brutti che siano) e di rimpianti per quel che, in altri tempi, avrebbe potuto fare e non ha fatto. Inoltre, a mano a mano che s'invecchia si rincitrullisce e si perde quello smalto che, se pure c'è stato, solitamente indora le personalità dei giovani. E poi, di questi tempi, i vecchi sono un peso. Le belle famiglie patriarcali, con quelle belle cucine immense nelle quali un po' tutti, in paese, siamo cresciuti, non ci sono quasi più. Di quelle dove c'era sempre spazio per i nonni anziani. Oggi abbiamo più spesso stanzette facili da pulire e... da riscaldare. Poco spazio, dunque. Dove gli anziani non trovano posto. Tant'è che chi diventa non autonomo finisce inesorabilmente in una casa di riposo, se ha soldi. Diversamente deve accontentarsi di quegli orribili ospizi che, a ben vedere, sono l'anticamera del cimitero.
Ma bando alle malinconie!
I miei genitori mi hanno educato a vivere bene col poco e col tanto. Da ragazzo, riuscivo egualmente a spassarmela anche senza una lira in tasca. Ecco perché, pur avendo patito diverse vicissitudini non allegre nel corso della mia vita, ho saputo (e so) accontentarmi di quel che avevo (e ho).
Ciascuno di noi, credo, deve saper vivere i vent'anni a vent'anni e a sessanta i sessanta. Chi vuole scardinare l'ordine naturale delle cose (tingendosi i capelli o trapiantandoli, rifacendosi nasi, visi, seni e altro) finisce con l'apparire ridicolo. Lasciamo fare queste cose al nostro presidente del Consiglio. Che è narciso e crede di essere unico al mondo.
Ciao, Tore! Grazie per la stima e l'affetto. Che, credimi, sono ricambiati. (c.p.)
Saluti da Salvatore quel de milan