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So andadu a sa festa e no hapo ‘idu su Santu - 2a parte PDF Stampa E-mail
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Mercoledì 14 Agosto 2013 00:00

di Carlo Patatu

Nel giorno stabilito (siamo ai primi di Luglio), mi presento di buonora all’appuntamento. A s’Istradone (oggi piazza Repubblica). Giulieddu è intento ad armeggiare intorno alla sua 1500 Fiat scura tirata a lucido, parafanghi bombati a reggere i due fari giganteschi, predellini esterni, ruota di scorta sul retro, cofano-motore che si allunga smisuratamente in avanti per finire col muso a griglia argentata e un paraurti monumentale. È vecchiotta, ma fa la sua figura.

L’interno è foderato in velluto marrone a coste. I quattro sportelli si aprono a finestra su due comodi sedili anteriori e uno posteriore a divano. Cinque posti in tutto. Ma Giulieddu di passeggeri ne carica sempre qualcuno di troppo, confidando nella pazienza dei propri clienti e nella tolleranza della polizia stradale.

Partenza quasi puntuale. Alle porte di Ploaghe, il motore è colto da un attacco di tosse convulsa che non promette niente di buono. Il conducente, che in fatto di trabiccoli sa il fatto suo, agisce prontamente sul freno e ci fa scendere. Dopo di che tira fuori dal portabagagli un mazzo di chiavi inglesi e una tuta da meccanico, che indossa senza esitare. Brutto segno.

Sollevato il cofano motore, Giulieddu vi si tuffa dalla cintola in su e s’ingegna con gli strumenti professionali di cui dispone: esperienza e tanta buona volontà. Dopo reiterati tentativi andati a vuoto, il motore riprende a rombare. Ma c’è voluta oltre un’ora.

Tutti a bordo! Si riparte.

Attraversiamo Ploaghe e, superata la rimessa di Codrongianus, c’infiliamo nella Carlo Felice, direzione Sud. Strada asfaltata, finalmente.

Tra una chiacchiera e l’altra, eccoci a Bonnanaro. Una sosta breve per un caffè e per consentire al motore asmatico di riprendere fiato. Ripartenza e nuovo arresto imprevisto a Campeda. La macchina non ne vuole proprio sapere di proseguire. Una salita nemmeno impegnativa la mette in crisi. Tant’è che il viaggio, peraltro da me intrapreso di malavoglia, pare ormai compromesso.

Questa volta Giulieddu deve dar fondo a tutte le proprie arti per costringere il motore riottoso a fare il proprio dovere. E cioè rimettersi a sbuffare per trasportarci, sia pure in affanno, fino a Santu ‘Antine di Sedilo. Intanto mezzogiorno è passato da un pezzo; ma la nostra meta non è ancora a portata di mano.

Come Dio vuole, pur marciando a passo di lumaca giungiamo al santuario. La messa è finita da un pezzo; s’àrdia pure. Tutt’intorno, raccolgo le briciole dello spettacolo appena concluso: un cavallo insanguinato che zoppica vistosamente per via di una caduta rovinosa; più in là un gruppo di uomini che, piuttosto alticci, urlano come forsennati e se le danno di santa ragione. Motivo della contesa? Qualche sgarro o una mancata precedenza durante s’ardia, mi dicono.

Obbediente alle raccomandazioni di mia madre, entro in chiesa e m’infilo lesto in sagrestia per ordinare una messa in suffragio dell’anima di nonna Murgia, scomparsa qualche anno avanti. Mi viene incontro un prete panciuto e premuroso, che prende la busta con le cinquecento lire di offerta e, senza lasciarmi il tempo di proferire parola, la intasca salutandomi con un sorrisone.

Il nome della nonna? Non importa: l’intenzione dell’offerente basta e avanza. Lo dice lui. Il cardinal Mazzarino (e pure Andreotti) sosteneva che a pensar male si fa peccato; ma spesso ci si azzecca. Concordo. Dubito pertanto che quel suffragio in favore dell’anima di mia nonna sia andato a buon fine. Di certo lei mi ha perdonato. Come sempre, del resto.

Manco a dirlo, io e i miei compagni di viaggio protestiamo vivacemente col tassista per la trasferta rivelatasi inutile. Tranquilli, replica Giulieddu. Poi, con calma serafica, ci rabbonisce assicurando che, sulla strada del ritorno, avremmo fatto sosta a Pozzomaggiore, dove si festeggia ugualmente santu ‘Antine; ma con svolgimento de s’àrdia nel pomeriggio. Non come a Sedilo; ma, insomma... meglio che niente. D’altronde, pregare qui o a Pozzomaggiore, che differenza fa? La logica del tassista non fa una grinza. Ci arrendiamo.

Quindi, per placare i morsi della fame, non più sopportabili data l’ora, ci sistemiamo all’ombra di una quercia annosa. In men che non si dica, compare sul prato ogni ben di Dio. Ciascuno mette a disposizione dei compagni di viaggio ciò che ha in saccoccia. Banchettiamo con porcetto arrosto, ravioli, melanzane al forno ripiene, uova sode, formaggi molli e stagionati, casu frazigu e salsicce, dolci nostrani e frutta. Il tutto accompagnato da pane casareccio saporito e innaffiato con cannonau generoso, che non tarda a far sentire gli effetti.

Vinti dall’abbiocco, ci abbandoniamo a un sonno ristoratore e... meritato. Dormiamo tanto. Quanto non saprei. A svegliarmi di soprassalto è il richiamo di Giulieddu. L’ora della ripartenza è già passata e siamo in ritardo. Ci aspetta s’àrdia pomeridiana di Pozzomaggiore, surrogato modesto di quella ben più spettacolare di Sedilo, da noi toppata al mattino.

Il viaggio riprende; ma a velocità sempre ridotta, per non urtare la suscettibilità del motore ansimante della Millecinque. Il quale, mostrando di gradire la premura interessata di Giulieddu, ci porta fino a Pozzomaggiore senza bizze né sussulti.

Qui giunti, nuova delusione: s’àrdia s’è appena conclusa!... Non riesco a trattenere un vaffa...!

Giulieddu non sa a che santo votarsi. È visibilmente imbarazzato, il che gli capita di rado. Si sente in colpa, è evidente; ma non in grado di ricomporre la frittata, né di placare il disappunto palese de sos passizeris e, men che mai, la loro rabbia repressa. Si fa avanti timidamente per offrire una birra fresca al bar. Accettiamo e lì chiudiamo la partita. Riprendiamo in silenzio il viaggio di ritorno e giungiamo a Chiaramonti ch’è già notte.

M’è occorso di vedere un po’ di tutto, durante quel viaggio rocambolesco; ma non ciò per cui lo avevo fatto: la messa e s’àrdia. Ecco perché non sono certo di avere onorato compiutamente l’impegno assunto in mio nome da mamma Ciccia. Sa prommissa (il voto) è da ritenere adempiuta? Non so. Non lo saprò mai. Può darsi che santu ‘Antine si ritenga ugualmente soddisfatto, date le circostanze.

Mia madre, invece, visibilmente contrariata, mi gratifica di un’espressione lapidaria quanto liquidatoria: “Cun su còro chi l’has fàttu, gài t’est resessìdu. Ìte bèffa! Andàre a sa fèsta e no bìdere su Sàntu!...”.[1]


(2 – fine)



[1] “Il tuo viaggio ha avuto un esito corrispondente alla fede con cui lo hai intrapreso. Che vergogna! Andare alla festa e non vedere il Santo!...”.

 

Ultimo aggiornamento Martedì 13 Agosto 2013 22:56
 

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