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Sos Tres Res |
Scritto da Carlo Patatu |
Lunedì 05 Gennaio 2015 13:33 |
Canzone popolare di autore ignoto: si cantava in gruppo, porta a porta, la sera del 5 Gennaio, vigilia dell’Epifania
Un tempo, per la vigilia dell'Epifania, in ogni casa si preparavano frutta secca, mandorle, noci, vino e dolci tradizionali. Verso l'imbrunire, un canto melodioso proveniente dall'esterno attirava l'attenzione di noi bambini. Un canto antico dal sapore malinconico e sempre uguale che, nel ricordo della mitica visita fatta dai Re Magi al Bambino presso la grotta di Betlemme, voleva essere anche un augurio per l'anno nuovo.
Quella canzone la si cantava in gruppo. In genere erano uomini che si riunivano e, sacco in spalla, a metà del canto bussavano alle porte e, in cambio degli auguri, ricevevano, appunto, dolci, frutta secca, mandorle e noci. Ma anche un bicchiere di vino. In taluni casi, il padrone di casa ne regalava una bottiglia, che veniva versata in un recipiente capace che i cantori si portavano provvidenzialmente appresso. Concluso il giro, i coristi andavano a casa e dividevano fra loro quanto avevano raccolto. Il gruppo più gettonato era quello di Frades Dretos; e cioè i fratelli Peppinu, Nanneddu e Pedrigheddu. Soprattutto per merito di tìu Peppinu, che aveva una voce squillante (non a caso svolgeva pure la funzione di banditore pubblico), quel complesso era il più atteso e meglio ricompensato. Costoro ringraziavano di cuore, non mancando di pronunciare il tradizionale "A un'ater'annu mezus!". Al che i padroni di casa replicavano "Deus lu fettada". Ma anche i giovani usavano riunirsi e fare il giro delle case. Privilegiando quelle di parenti e amici, coi quali si era maggiormente in confidenza. Ovviamente partecipai anch'io, attivamente devo dire, a perpetuare quella bella tradizione. Andai in giro anche dopo l'elezione a sindaco. Poi, avendo messo su famiglia, decisi di smettere. Con una punta di dispiacere, devo dire. Ma, volendo coniugare tradizione e innovazione, con gli amici e le amiche di allora pensammo di modificare lo spartito. E cioè, fermo restando il testo (intoccabile, ovviamente), ci divertivamo a cantarlo ogni anno con musica diversa; e cioè facendo riferimento alle canzoni all'epoca in voga. Correvano gli anni Sessanta del Novecento. Fu così che cantammo Sos Tres Res al ritmo dell'hully-gully lanciato da Edoardo Vianello o del cha-cha-cha di Perez Prado. L'idea ebbe un tale successo che altri gruppi di giovani la fecero propria. E così accadeva che, pur senza volerlo, si dava vita a una gara di bravura. E si finiva con lo stilare una sorta di hit parade. Ricordo che, in una occasione, il mio gruppo s'incontrò, a casa di Nicola Brau e Nannina Sini, con un altro gruppo formato da Gregorio Cossiga, Cesare Soma, il panettiere e Farore Cossu. Essi, accompagnandosi con la chitarra, cantavano sos Tres Res al ritmo della canzone siciliana "Viti 'na crozza supra 'nu cannuni..." (Vidi un teschio in cima a un castello...). Furono loro a collocarsi nell'Olimpo della hit-parade di quell'anno. Ora nessuno va più a cantare Sos Tres Res. Qualche anno fa, la Pro Loco e alcuni volenterosi hanno tentato di riportare in auge la tradizione. Ma poi hanno lasciato correre. Il tutto aveva il sapore di una minestra scaldata. Calore, emozione e fede in quell'usanza avevano perso per strada la carica suggestiva. Non si può fermare l'orologio del tempo, né quello della storia. Quel canto e quella tradizione avevano un senso allora. Ora non ne hanno più. Roba passata; da ricordare, ovviamente, ma che non si può riportare a galla così, tanto per dire. Naturalmente è bene non dimenticare quel patrimonio di emozioni e di calore umano. Tuttavia, ammettiamolo, è ormai un arnese da museo, da ammirare, osservare e studiare. Anche con emozione e nostalgia, oltre che che interesse. Ma oggi, nell'era d'internet, degli i-pad, i-pod e smartphone, riproporre quei canti secondo lo schema e l'usanza del passato, non ha più senso. E' un peccato, ma è così. In ogni caso, riproponiamo il testo de "Sos Tres Res" nella versione chiaramontese. Non mancando di rinnovare gli auguri per l'anno appena iniziato. (c.p.)
--- S’avvìant sos tres res in giusta ghìa cun sos bolàntes sùos assistèntes, pro motìvu ch’est nàdu su Messìa un’istèlla at bessìdu in Oriènte, in favòre a Giuseppe e a Maria e a su Fìzu sòu Onnipotènte; umpàre si tùcan sos tres res, ca Gesùs est naschìdu in Bellé. S’Anghèlu Gabriele aunènde ròsas, pro coronàre su vèru Messìa, Sàntu Giusèppe cun sa sua ispòsa e dùos pastorèddos in cumpagnìa. Si nde fàlant dae càddu tòtos tres e tzòccant in sa pòrta beneìta, nènde: “Nòis sèmus sos tres res, bénnidos pro bos fàgher s’imbisìta”. Augurènde ògni gràscia e tàntu zèlu, ogni ànnu sèmpre in aumèntu, campèdas in sa vìda ànnos chèntu e a bètzos mànnos gosèdas su chèlu.
Cust'est una coilètta, sa chi nòis bos cantàmus; su chi nos dàdes leàmus: càriga, saltìzza o pètta.
Se poi l’accoglienza non era pari all’aspettativa, si proseguiva così:
Tìra tìra sa colòra dàe sa jànna a su foghìle; càntu nd'hàzis dàdu a mìe nd'happèdas ìntro e fòra.
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Ultimo aggiornamento Mercoledì 07 Gennaio 2015 20:06 |
Ricordo benissimo le nostre "performances" in occasione de "sos tres res" e de "a Gesus in allegria", essendone stato uno dei protagonisti. E anche allora, la prima volta in cui abbiamo deciso di uscire a cantare, le due tradizioni erano in forte declino, per non dire definitivamente scomparse. Noi le abbiamo ripristinate a tal punto che, come dice giustamente Carlo nel suo articolo, venivano a crearsi momenti di sfida fra i vari gruppi.
I preparativi avevano inizio già dai primi di novembre, provando e riprovando motivi musicali da adattare al vecchio testo e creando le coreografie più accattivanti. La sera della vigilia della befana, cominciavamo a cantare in quattro o cinque e, dopo mezz'ora, eravamo una trentina.
Anche allora, chi era più anziano di noi rimpiangeva malinconicamente i tempi passati.
Sono pienamente convinto che, se i giovani d'oggi avessero la fantasia e il desiderio di "creare" da soli il modo di divertirsi, troverebbero facilmente il modo di rinnovare le tradizioni identitarie che caratterizzano la nostra società. Coi riti della settimana santa e col carnevale ci sono riusciti.
Ai tempi di mio padre e di mio nonno, le sfilate carnevalesche le organizzavano senza disporre di trattori, roulotte e motocarrozzelle, per non parlare delle amplificazioni. Negli anni ottanta, alcune persone della mia età, fra cui c'ero anch'io, tutti già ampiamente fuori dall'adolescenza, (non sono passati poi moltissimi anni), ci siamo organizzati e siamo andati a "cantare gli auguri" di buon anno alle case di alcune famiglie, dopo aver opportunamente avvisato telefonicamente il giorno prima.
Fu un successo, in quanto, chi ci ospitava, aveva avuto il tempo di organizzarsi per offrirci quanto di meglio era riuscito a procurarsi. E chi non intendeva riceverci, aveva semplicemente risposto che non sarebbe stato in casa. Per cui, siamo andati a colpo sicuro.
Attualmente, i mezzi di comunicazione si sono moltiplicati, rendendo ancor più fattibile una simile manifestazione.
Se oggi i giovani volessero ripristinare la tradizione, potrebbero farlo utilizzando i mezzi moderni che la tecnologia offre. Un grande studioso di musica popolarie, Bela Bartok, diceva che la musica popolare è come un bambino: cresce di giorno in giorno. E così sono le tradizioni; man mano che passa il tempo, si adattano alle varie situazioni e alle modifiche operate nella società.
Chi avrebbe mai pensato che si potesse ballare il ballo sardo col ritmo e la musica prodotta da un organetto diatonico inventato in Germania? O che i poeti improvvisatori e i "cantadores a chiterra" avrebbero utilizzato il microfono e l'amplificatore?
Mantenere ferma una tradizione popolare, ancorarandola a schemi ormai obsoleti e inesistenti, significa farla morire. Occorre la fantasia e la freschezza dei giovani che li spinga a cercare e trovare schemi moderni per continuare la tradizione.
1) alludo al titolo di un film che era la continuazione di un altro di grande successo: I magnifici sette. L'altro aveva per titolo: I magnifici sette cavalcano ancora.
2) Leggere il mio articolo pubblicato su questo sito, intitolato Sos Tres Res, oppure, sempre su questo sito, quello intitolato: A Gesus in allegria.
Più d'una volta i miei figli, mentre si parla tra amici, mi hanno fatto notare che, spesso, ricadiamo nel passato raccontando i fatti avvenuti allora.
In effetti mi sono chiesto il perché il rinverdire questi ricordi. Essi fanno parte del passato e ci hanno aiutato a crescere così come oggi siamo, fanno parte del vissuto di ognuno di noi e ne sono fiero. Forse anche perché le novità e le uscite, oggi, sono col contagocce e ci rifugiamo volentieri in quei tempi vissuti con la gioventù. (m.u)
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Caro Mario, lascia che i tuoi figli raggiungano la nostra età, con corollario di pancetta, capelli bianchi (quando ne restano) e un po' di mal di schiena. Per non aggiungere altro. Vedrai, anzi essi vedranno, che i ricordi del passato tornano alla mente dolci, carichi di rimpianti e di malinconie.
La Bibbia, l'Ecclesiaste credo, ci avverte che c'è un tempo per ogni cosa. Oggi, per i nostri figli, non è ancora il tempo dei ricordi. Beati loro! Ma quel tempo verrà. Oh! se verrà. (c.p.)