Immagini del paese
Statistiche
Tot. visite contenuti : 11428440Notizie del giorno
|
S’abba ‘e s’oju |
Giovedì 07 Gennaio 2016 18:13 |
di Carlo Patatu
Intorno a me la superstizione regnava sovrana, quand’ero piccolo. Da queste parti, ma credo anche altrove, la faceva proprio da padrona. Era quasi palpabile, nell’aria. Fin dai primi anni di vita, con un’insistenza persino asfissiante, nei bambini della mia generazione s’inculcava lo spauracchio del malocchio e di chi ne erano i registi. E cioè gli iettatori in primis; ma anche e soprattutto su fundàcciu[1] e su malìgnu, ovvero su dimòniu cònchi rùju[2]. Che, avviluppato in una nuvola puzzolente di zolfo, lo si voleva perennemente affaccendato a tramare ogni maleficio possibile e immaginabile in danno delle persone.
Specie se deboli e indifese.
Ma esisteva un qualche rimedio per esorcizzare il malocchio? Sicuro che esisteva. Anzi, di espedienti se ne contava più d’uno. Tutti idonei, si diceva, a contrastare con efficacia l’azione perversa del maligno e dello iettatore. Bastava bussare alla porta di un mago o di una fattucchiera.
Questo si credeva. E questo si faceva.
In quei personaggi singolari confidavano i più. Quasi sempre riponendo una fiducia cieca. Nella certezza che, in un modo o nell’altro, il problema contingente sarebbe stato risolto.
Stando alla voce comune, c’era un modo sicuro per dribblare ogni possibile intoppo: s’abba ‘e s’òju. Che, a seconda delle esigenze, poteva produrre effetti sia di prevenzione che di cura.
Era sulla bocca di tutti la vicenda di un giovane militare che, ogniqualvolta tornava in paese per un periodo di licenza, non usciva mai di casa se prima una sua vicina di casa non gli aveva “fatto” s’àbba ‘e s’òju.
Si trattava, com’era evidente a tutti fuorché all’interessato, di una fissazione bella e buona, che lo accompagnò fino alla tomba.
Ma i più ricorrevano a quella pratica di magia soltanto al bisogno. Tant’è che, in presenza di malesseri come emicrania, astenia, febbre, nausea, capogiro e simili, in prima battuta non si faceva ricorso all’armadietto domestico dei medicinali, che non c’era proprio. Né al medico, che era solito licenziare il paziente con frasi assertive liquidatorie tipo no est nùdda, già t’hàda a passàre luègo[3]. Andare in farmacia? Neppure, perché inesistente. Antipiretici, antibiotici, antistaminici e antinfiammatori erano farmaci sconosciuti ai più.
Pertanto, confidare in s’àbba ‘e s’òju era una conseguenza logica, obbligata. Quasi un atto dovuto. Una sorta di primo soccorso.
Chi era esperto nello svolgimento di quella pratica, in genere una donna, faceva sedere dinanzi a sé il paziente, reggendo con la mano sinistra un bicchiere riempito d’acqua per tre quarti. Con un granello di sale stretto fra pollice e indice della destra, lambiva in quattro punti il bordo del bicchiere nel segno della croce mentre farfugliava a voce bassa parole incomprensibili. Poi lasciava cadere il sale nell’acqua.
Di sicuro biascicava una preghiera. Che però recitava senza farsi intendere da chi le stava vicino. E così per tre volte di seguito. Quindi immergeva la falangetta del mignolo destro in un contenitore di olio d’oliva e ne lasciava colare tre gocce dentro il bicchiere. In punti diversi.
Quando l’auspicio si manifestava favorevole, le gocce d’olio galleggiavano restando separate. Se, invece, qualcosa si metteva di traverso, le tre gocce si riunivano in una sola. Segno che si era in presenza di una qualche malasorte. Il che destava sconcerto nella maga, la quale non mancava di trasmetterlo agli astanti, fissandoli in silenzio; ma con un’espressione tanto eloquente da non lasciare adito a dubbi.
E allora?
Allora prendeva corpo l’eventualità di andare incontro, presto o tardi, a dei guai seri. Ai quali si poteva porre rimedio, o almeno ci si tentava, ripetendo più volte il rito. Ma, in genere, s‘àbba ‘e s’òju era aggòlta[4] di primo acchito. Oppure, se non proprio alla prima, in una delle prove successive.
A cerimonia conclusa, la maga invitava il paziente a bere con fiducia il contenuto del bicchiere. Per rinforzare l’effetto del beneficio ottenuto e prolungarne l’efficacia.
E se l’espediente, ancorché ripetuto più volte, non andava a buon fine?
Beh!, allora non restava che rassegnarsi all’idea che l’artefice del maleficio doveva essere di certo più potente di chi si arrabattava per annullarne gli effetti.
A quel punto, chi non si piegava ad accettare il responso sfavorevole, come ho già detto, andava a bussare ad altre porte. E, se gravemente indisposto, a quella del medico. |
Ultimo aggiornamento Giovedì 07 Gennaio 2016 21:24 |