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Come scrivere in lingua sarda PDF Stampa E-mail
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Martedì 24 Giugno 2008 17:19

di Salvatore Patatu

In risposta alle osservazioni del prof. Angelino Tedde sullo stralcio di una gara poetica di Giuanne Seu ("Su regnu 'e sos animales"), pubblicato su questo sito il 12 Maggio 2008, riceviamo e volentieri pubblichiamo quanto segue:

Non so chi ha materialmente sbobinato la gara di Giuanne Seu proposta da Enza Loi. Io, su invito di Carlo, mi sono limitato ad adeguare (quanto più possibile) la trascrizione del testo poetico alle regole consigliate dalla Regione Sarda.

Per quanto riguarda i versi monchi, di cui parla Angelino, voglio ricordare che si tratta di trascrizione di poesia cantata, il cui valore dell’endecasillabo viene adattato col canto, allungando le singole parole con la paragoge ed il melisma, se il verso è corto; e accorciandolo con vocalizzi contratti, se il verso è troppo lungo. Per esemplificare ricordo due ottave del grande Remundu Piras, cantate a Chiaramonti nella famosa gara con Bainzu Truddaju e Pepe Sozu, in occasione della Festa dei Giovani del 1971: Deus (Sozu), s’òmine (Truddaju), su tempus (Piras).

Deo una parte invisìbile tenzo
e dae niunu niente domando.
Niunu podet nàrrere dae ue enzo
niunu podet nàrrere a ue ando.
Deo a niunu mai non cumando,
ma de mi cumandare niunu tenzo;
pruite deo so sempre a contu meu
non mi cumandat òmine e ne Deu.


Il primo verso è di tredici sillabe, il terzo e il quinto sono di dodici.
E quest’altra sempre dalla stessa gara:

Ma si a riponder non tenese a costùmene,
tando domandasa pro cantare in motu.
Deo comente e tempus so connotu
e tenzo cussu motu cun volùmene.
Deo chi so su tempus l’ischin totu
e poto viver puru chena nùmene.
A nùmene sa ‘uca non l’aberzo
Non mi nde ponzas ca non ti de scherzo.

Il primo verso è addirittura di quattordici sillabe,
il secondo, il quarto ed il sesto di dodici.

Se noi ci limitiamo alla sola lettura di queste due ottave, in certi punti sentiamo zoppicare l’endecasillabo; cosa che non succede, invece, se le cantiamo.
Inoltre, un esperto nota subito che il primo ed il sesto verso della prima ottava rimano con la stessa parola tenzo. Viene a formarsi, come si dice in gergo, unu copiolu, cioè una rima sbagliata. Partendo dal presupposto che un grande poeta come Piras non può fare errori così banali, si pensa che abbia sbagliato il trascrittore. E invece non è così. Ho la registrazione della gara.
Per quanto riguarda le altre osservazioni “…il trascrittore evita le doppie ecc.” è previsto dalle regole “regionali” e bisogna rifarsi a un principio fondamentale della linguistica generale, secondo il quale la grafia di una lingua è un fatto arbitrario ed è frutto di una convenzione o un accordo.

Arbitrarietà della lingua significa che non esiste un legame logico tra significante e significato di un segno. Cioè, non esiste nessun rapporto tra quel segno nero lasciato dalla penna sul foglio bianco o segno bianco lasciato dal gesso sulla lavagna (forma espressione, meramente materiale) e il suo significato (contenuto, ciò che si vuol rappresentare).
Quando il primo uomo sulla terra ha deciso di trascrivere il nome di un oggetto, prendiamo ad esempio sedia, aveva tante possibilità. Poteva trascrivere rolia, media, tudia, parie e così via dicendo. Il secondo uomo aveva le stesse possibilità e ammettiamo che abbia scelto un’altra soluzione. I due hanno avuto un’intuizione geniale, ma scambiandosi gli scritti non si sono capiti. Che cosa potevano fare? La cosa più semplice di questo mondo: hanno trovato un accordo. Hanno operato una convenzione.

Seguendo questo principio elementare, la Regione ha nominato una commissione di esperti, che hanno trovato un accordo, fatto una convenzione e stabilito le regole. Lo Stato Italiano si è comportato allo stesso modo. Stabilite le regole, le ha imposte e continua ad imporle attraverso la Scuola. Se vuoi essere promosso, devi scrivere scatola con una t. Nessuno t’impedisce di scriverlo con due (e anche con tre, se ti piace) però non hai scampo: sarai bocciato. In Francia, ad esempio, c’è una proposta di legge per eliminare la trascrizione della t eufonica nell’espressione y a-t-il.

La Lingua sarda, come tutte le lingue minoritarie e i dialetti, non ha queste possibilità, per cui la Regione interviene quasi come un notaio e consiglia le regole, le suggerisce (per ora), nel tentativo di far aumentare il numero degli aderenti a questo accordo. Più “scriventi” vi aderiscono e più sviluppo avrà la scrittura (e quindi la lettura) e, invece di chentu concas chentu berritas, potremmo essere chentu concas e una berrita solu (almeno nella scrittura). Un domani, però, la stessa Regione potrebbe imporre queste regole, ricorrendo a un’azione coercitiva, neanche tanto sbagliata. Potrebbe dire, ognuno scriva come gli pare, ma, se vuole i finanziamenti per una pubblicazione, questa deve essere scritta secondo le regole “consigliate”.

Seguendo un altro principio (economicità e semplicità della grafia) la Regione consiglia di abolire la consonante h del verbo avere e di eliminare del tutto la consonante q (che, in effetti, non serve a niente e complica le cose). Consiglia, inoltre, di non raddoppiare mai la dentale t, la c, sia velare che palatale, la labiale p ecc. e seguono tutte le altre regole che sono contenute nell’opuscolo scaricabile da internet, digitando limba sarda comuna sul motore di ricerca. Ripeto, sono regole che riguardano la lingua scritta, non parlata.

A questo punto dobbiamo tenere conto di un’altra proprietà: nessuna lingua si scrive come si pronuncia. Neanche l’Italiano. Per la trascrizione fonetica precisa c’è l’alfabeto internazionale. Va da sé che, se io utilizzo il termine dinari, lo devo scrivere sempre allo stesso modo. Anche quando ci metto l’articolo davanti, scrivendo su dinari e lo pronuncerò, ovviamente su inari. Lo stesso dicasi per cadrea, sa cadrea, bentu, su bentu, pane, su pane e via discorrendo, salvo poi a leggerli rispettivamente: sagadrea, suentu, subane. La terza persona del verbo essere si scriverà sempre est, anche quando la si pronuncia in modo diverso, come nelle frasi: est un’amigu meu, non b’est no. Che si leggono rispettivamente: este (Con la fricativa laterale) un’amigu meu, nonb’ènno.

Trascrivendo la poesia improvvisata, spesso, queste regole non si possono osservare alla perfezione, per ragioni facilmente intuibili. Come, ad esempio, quando la frase non bi nd’at deve rimare con intrada. Allora si scrive non bi nd’ada. Sono eccezioni accettabili per esigenze di rima. Non ci si può rifare alla scrittura di altri versi del nostro poeta, come dice Angelino, per due motivi. Il primo è che Giuanne Seu non ha mai scritto un verso. Sapeva tutto a memoria. Una memoria prodigiosa. Diceva (sbagliando ovviamente) che tutta la sua produzione poetica doveva morire con lui. E questo non è successo grazie al registratore. Ho moltissime gare di tiu Giuanne; e anche numerosi sonetti che sono riuscito a carpirgli (da buon chiaramontese).

Il secondo motivo, il più importante, è che non è giusto dal punto di vista linguistico. Chi scrive in Sardo deve farlo in modo scientifico, affidandosi a regole precise e codificate. Questo, se si ha interesse a raggiungere una unità linguistica scritta. Se non si ha questo interesse e ognuno scrive come gli pare, può anche farlo, ma sappia che non è un atteggiamento corretto, né conveniente. La Regione ha titolo per suggerire e facilitare l’accordo tra Sardi che, non è vero che siamo locos, ma è estremamente vero che siamo pocos y male unidos.

Le regole non devono piacere, come dice Carlo, ma devono servire a facilitare il compito. Neanche a me piace che soqquadro abbia due q, che scuola non si scriva con la q e che beffe si scriva con due f quando invece la parola refe, che ha l’identica pronuncia si scriva con una f sola. Una famosa maestra siciliana che insegnava a Chiaramonti soleva ripetere ai suoi alunni: “Bambini, quante volte vi devo dire che scuolla, pistolla, fucille e casseruolla si scrivono con una elle solla?”.

Per quanto riguarda la domanda se esistono altre pubblicazioni di Giuanne Seu, la risposta è no. Nel numero di luglio del 1984 della rivista Sardu so è riportato l’esordio di una gara svoltasi a Quartucciu il 19 settembre 1977, con Antonio Pazzola. Nel libro Chent’annos di Paulu Pillonca, Soter editrice, Villanova M. 1996, a partire da pag. 186 c’è la trascrizione di un esordio con Pepe Sozu di una gara tenutasi a Orroli il 27 settembre 1971. Queste pubblicazioni, però, non hanno valore scientifico, perché trascritte senza seguire alcun criterio, se non quello dell’ispirazione momentanea del trascrittore.

Posseggo tanto di quel materiale del poeta Giuanne Seu, che non basterebbero un paio d’anni di lavoro per razionalizzarlo.
Con la speranza di non aver annoiato i naviganti, porgo affettuosi saluti.

Tore Patatu

Ultimo aggiornamento Martedì 24 Giugno 2008 20:28
 
Commenti (1)
Preferisco la tradizione più che Limba Sarda Unificada e Limba Sarda Comuna
1 Giovedì 26 Giugno 2008 19:09
Anghelu ' e sa Niera
Esimio Tore,
in merito a quanto hai scritto ho da obiettare che la storia e le fonti dimostrano che vi fu una certa oscillazione tra la resa grafica con aggeminate e scempie, ma da quando i poeti del Sette-Ottocento cominciarono a scrivere e a stampare le proprie poesie si è affermata una tradizione che prevede le aggeminate. Del resto si tratta di una scelta razionale e corretta perché le consonanti "lunghe" del sardo spesso non sono altro che le continuatrici di lunghe latine o di nessi "ct", "pt" e simili. Scrivere "sete" anziché "sette" e "oto" anziché "otto" è aberrante anche perché disorienta i bambini che sono stati alfabetizzati a scuola, conoscono questi due numeri attraverso le grafie "sette" e "otto", le quali sono il naturale sviluppo di lat. "semptem" e "octo". Grafie stravaganti mi sembrano "emo" per "emmo" quasi si trattasse di un prefisso relativo a qualche malattia del sangue e non di una particella affermativa del sardo. Se io dovessi scrivere in sardo una storia o una poesia userei la grafia tradizionale, con buona pace del documento regionale Limba Sarda Unificada e Limba Sarda Comuna, di Pillonca, Corraine e compagnia bella.
Se invece si tratta di scrivere una delibera, allora mi allineerei con la LSC che, tuttavia, non obbliga nessuno a usare le scempie, ma lascia libertà di scelta nonostante gli scrittori sardi citati la pensino in tutt'altro modo.
Ad ogni modo, al di là di queste discussioni ciò che conta, per la lingua sarda, è che la si parli e la si scriva. Non vorrei che dopo tutte queste artificiose unificazioni il sardo scomparisse. D'altra parte riconosco anche che voi scrittori sardi filoregionali contribuite con i vostri libri alla crescita della lingua sarda. Mi rallegro che tu abbia raccolto tante gare del nostro Seu e che prima o poi provvederai a pubblicarle a stampa o su internet. Prendo altresì atto che la signora Enza Loi si stia rivelando un pozzo inesauribile di ottave di svariati poeti. Deus salvet su Re, evviva su Regnu Sardu.
Un abbraccio.

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