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Ricordando Francesco Pranteddu |
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Sabato 26 Gennaio 2019 17:24 |
di Paolo Pulina Nella “Giornata della memoria”, ricordo di Francesco Pranteddu, a lungo animatore delle iniziative culturali dei circoli sardi del Milanese, attraverso il suo libro “Libero”, storia del fratello partigiano.
Ho appreso solo in questi giorni della morte dell’amico Francesco Pranteddu. Documentandomi in Internet ho trovato il ricordo che, con il titolo “Francesco Pranteddu, l’impegno politico nel segno dell’Antifascismo” ne ha tracciato il 30 aprile 2018 Marco Sini, coordinatore regionale ANPI della Sardegna. Si veda il link: http://www.democraziaoggi.it/?p=5437 nel quale è anche pubblicata la foto che qui viene riprodotta. Per ricordarlo ripropongo la recensione che scrissi alla fine del 2003 per il suo libro “Libero”, la storia del fratello partigiano. ***Il volume dell’aritzese Francesco Pranteddu sul fratello maggiore Liberato (“Libero. Un partigiano sardo e il suo tempo”, Comitato di Cagliari dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Antifascisti, 2003) si inserisce certo nel quadro della memorialistica sulla Resistenza nel Nord Italia ma serve anche a ricostruire, dall’ “interno”, un periodo storico cruciale della vita del Partito Comunista Italiano in Sardegna, dal momento della conquistata “liberazione” dal nazismo e dal fascismo (su questo momento si può vedere anche il libro dell’orunese Antonio Dore, “Vita di un comunista”, a cura di Guido Melis, Cagliari, Tema, 2001) fino alla metà degli anni Sessanta. Probabilmente Pranteddu, quando progetta di tracciare la biografia del fratello partigiano, è animato solo dal desiderio di vedere i luoghi e di conoscere i personaggi delle montagne del Pinerolese di cui Liberato gli ha parlato, senza alcuna vanteria, ma insistendo sul concetto che gli sembrava di avere fatto semplicemente, andando in montagna con i partigiani, il suo dovere di italiano, se si considera che era incappato come militare in Croazia (insieme all’altro sardo Michele Manca, Chei) nel generale disorientamento che colpì l’esercito italiano alla notizia all’armistizio dell’ 8 settembre 1943 e che era riuscito a raggiungere, avventurosamente, sempre con Manca, la città di Torino, alla quale era stato destinato all’inizio del suo servizio militare di leva. Ma una volta pervenuto a un riscontro puntuale delle narrazioni di Liberato (“Libero” era naturalmente il suo nome di combattente per la libertà) attraverso la raccolta delle testimonianze orali e scritte dei suoi compagni e comandanti partigiani, Pranteddu, quando si concentra sulla scrittura, si convince che occorre inserire la vicenda militare e partigiana di Liberato nel contesto della storia generale (la sua permanenza in Croazia e quindi l’illustrazione della situazione della Croazia; la vita partigiana e quindi la precisazione delle motivazioni per cui si costituirono nelle montagne del Nord Italia le formazioni partigiane; la fine del conflitto, il rientro a casa e quindi i percorsi di vita repubblicana sia in Sardegna che a livello nazionale). È vero certamente quanto Pranteddu dichiara nella nota introduttiva: «Attraverso la piccola storia di un uomo comune – comunque protagonista sconosciuto alla grande storia, anche se non elevabile alla gloria degli eroi e della notorietà – vorrei incoraggiare i giovani di oggi a studiare ed impossessarsi della conoscenza del momento storico da lui vissuto; ad accostarsi all’impegno socio-politico e culturale per affermare e difendere i principi per i quali “Libero” scelse di diventare partigiano. Perché su valori come la libertà, la pace e la democrazia si ha il dovere di vigilare consapevolmente anche nel nostro tempo». Ma le pagine conclusive danno conto di un supplemento di impegno di cui Pranteddu ha dovuto farsi carico, man mano che nella sua ricerca si avvicinava al «nostro tempo», al momento della pubblicazione dell’opera. Scrive Pranteddu: «Nel nostro tempo, ormai distante dagli avvenimenti resistenziali dal 1943-’45, taluni critici interessati a snaturare l’ormai consolidato giudizio storico sulla Resistenza si cimentano in apprezzamenti finalizzati a sminuire il determinante apporto fornito dalle formazioni partigiane nella guerra di liberazione nazionale dal nazifascismo. […] Essi qualificano maldestramente la produzione storico-letteraria sulla Resistenza come retorica anche quando è supportata da prove documentali ineccepibili; non riconoscono con la dovuta convinzione che la molla che ha spinto i partigiani ad agire nella guerra di liberazione è stata prevalentemente ideale». Proprio nel momento in cui si enfatizzano le violenze (sicuramente da condannare ) del dopo-Liberazione contro i fascisti più sanguinari, Pranteddu pubblica i diari dei parroci che sono stati testimoni, nelle zone in cui ha operato il partigiano “Libero”, delle atrocità commesse dalle orde dei nazisti e dei fascisti contro la popolazione inerme, colpevole solo di non denunciare i partigiani. Proprio nel momento in cui qualcuno vuol procedere a un «revisionismo generalizzato» della storia della Resistenza, adottando il concetto di «guerra civile che vorrebbe essere risolutivo mentre invece non lo è, Pranteddu propone alcune brevi testi (di Giacomo Matteotti, Giuliano Procacci, Enzo Biagi, Nicola Tranfaglia) che dimostrano che non è possibile oscurare la verità: la Resistenza (alla quale ha partecipato anche l’aritzese Liberato Pranteddu) è stata il movimento di una minoranza che aveva a cuore la necessità, avvertita dalla stragrande maggioranza del popolo italiano, di riconquistare le libertà politiche e civili (che favorissero la ripresa di una competizione elettorale fondata sulle regole delle democrazia e non sui diktat del totalitarismo) e di realizzare programmi di governo incentrati sulla giustizia sociale. Post scriptum 1. Nel corso della presentazione del suo libro organizzata dal Circolo sardo “Domo Nostra” di Cesano Boscone (allora presieduto da Mario Piu) in occasione della “Giornata della memoria” 2005, Pranteddu dichiarò di aver voluto raccontare, con il volume “Libero. Un partigiano sardo e il suo tempo”, la storia di una realtà politica e ideale di un uomo (il fratello partigiano Liberato) in un tempo ben connotato e definito (la Resistenza nel Pinerolese e l’immediato dopoguerra in Sardegna). Per Pranteddu questa storia travalicava i propri originari confini e condensava in sé un ricco e complesso intreccio di situazioni, di significati e di valori, che imponevano un più lungo percorso della memoria, la rivisitazione di un tempo ben più ampio, di un’intera epoca: dalla tragedia del fascismo e della guerra all’epopea della Resistenza e della Liberazione, alla difficile, contrastata ed esaltante costruzione dell’Italia repubblicana. Nella circostanza Pranteddu presentò un altro volume (“Di ‘Libero. Un partigiano’ hanno detto”, Cagliari, ANPPIA, 2004) con i testi delle recensioni dedicate al libro e la trascrizione dei dibattiti relativi alla presentazione di esso in varie località della Sardegna. Post scriptum 2. “Libero. Un partigiano sardo e il suo tempo” è stato ripubblicato in terza edizione nel 2007, presso Nuove Grafiche Puddu di Ortacesus (Sud Sardegna). Nella foto, datata 26 settembre 2015, da sinistra Francesco Pranteddu, Marco Sini, Antonello Murgia e il comandante partigiano Nino Garau all’inaugurazione della Sede dell’ANPI di Cagliari nei locali della Fondazione Berlinguer di Via Emilia 39.
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