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Maledetta Primavera… PDF Stampa E-mail
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Giovedì 21 Marzo 2019 14:06

L’Inverno tarda a lasciare il campo libero; la nuova stagione non si presenta nella veste migliore, anche al di là e al di fuori della meteorologia

di Carlo Patatu

Oggi è Primavera. Dovrebbe. Lo dico solo perché me lo conferma il calendario; ma non il sole che, infastidito da una nuvolaglia che copre irregolarmente il cielo, si sforza per rendere onore a questa ricorrenza. Senza peraltro riuscirci. L’aria è frizzantina, ancora invernale. Insomma: una die castigada[1], diceva mia madre.

Lo stesso calendario mi ricorda che oggi ricorre la festa di San Benedetto da Norcia (480-547 d.C.), fondatore dell’ordine dei Benedettini (Ora et labora, ossia prega e lavora), proclamato Patrono dell’Europa da Paolo VI nel 1964.

Che l’Europa avesse allora e abbia ancora oggi necessità di un patrono-protettore è indubbio. Le sue condizioni di precarietà, al momento, richiedono più che mai la presenza benefica di tale figura. Ammesso che questa possa influire in qualche modo e positivamente sui destini del Vecchio Continente.

Infatti quella Europea, più che una Unione, è una somma di Paesi con aspirazioni, risorse, culture, storia, tradizioni e lingue diverse. Talvolta molto differenti fra loro, quando non contrastanti. Accade, pertanto, che, all’interno dell’Unione, si registrino atteggiamenti i più disparati, che a tutto possono portare fuorché a una gestione unitaria delle questioni spinose che si presentano pressoché quotidianamente sul tavolo di chi governa.

C’è chi vuole emergere e comandare; chi vuole andarsene ma non sa come; chi professa fedeltà un giorno sì e l’altro pure, ma, sotto sotto, lavora per creare confusione e portare l’intesa alla disgregazione. Razzismi, sovranismi, egoismi che si sperava superati spuntano per ogni dove e compromettono ogni possibilità di accordo inerente a una gestione unitaria del Vecchio Continente su punti essenziali quali le politiche monetarie, l’economia, la difesa, la sicurezza, la giustizia, l’immigrazione, la scuola e altro ancora. In breve: chentu concas, chentu berrittas[2].

Il contrario di quanto dovrebbe accadere all’interno di gruppi che intendono operare insieme, in forma unitaria. Inoltre, certo linguaggio rude e violento, entrato ormai in uso anche tra chi fa politica, non aiuta. Si sono perse per strada la capacità di ascolto e la disponibilità a tenere conto delle ragioni altrui. L’urlo, l’invettiva, il turpiloquio e l’offesa verbale fanno premio sulla discussione condotta all’interno delle regole auree della democrazia. Ma anche dei binari della buona creanza, innanzitutto. Il Parlamento, non solo il nostro, è diventato ormai un urlamento, dove si fa a gara a chi la spara più grossa, a chi più offende, sostenuto da applausi scroscianti a da sceneggiate invereconde poste in essere da colleghi sostenitori a prescindere.

Per concludere, la Primavera, auspicata, benedetta e sospirata, quest’anno non si presenta bene. Ecco perché, rifugiandomi nei ricordi infantili, mi piace tornare con la memoria ai tempi in cui scaldavo i banchi della scuola elementare. Quando il mio maestro ci leggeva in classe, prescrivendo d’impararla a memoria, una bella poesia di Angiolo Silvio Novaro: La pioggerellina di marzo. Che mi permetto di condividere con i miei lettori.

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La pioggerellina di Marzo

di Angiolo Silvio Novaro


Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
ornati di gemmule d’oro?

Passata è l’uggiosa invernata,
passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
di fuor dalla nuvola bigia
che in cielo si pigia,
domani uscirà Primavera
guernita di gemme e di gale,
di lucido sole,
di fresche viole,
di primule rosse,

di battiti d’ale,
di nidi,
di gridi,
di rondini, ed anche
di stelle di mandorlo, bianche…

Ciò dice la pioggerellina

di marzo, che picchia argentina

sui tegoli vecchi

del tetto, sui bruscoli secchi

dell'orto, sul fico e sul moro

ornati di gemmule d'oro.

Ciò canta, ciò dice

e il cuor che l'ascolta è felice.



[1] Una giornata stupida, sa di niente.

[2] Cento teste, cento berretti. Ossia cento modi diversi di pensare.

 

 

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