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Inno nazionale da spiaggia |
Mercoledì 07 Agosto 2019 14:43 |
Al Viminale preferisce la riviera adriatica per fare comizi, improvvisare conferenze-stampa sotto l’ombrellone e inscenare balli di gruppo in riva al mare sulle note dell’Inno nazionale. Queste le novità visibili a occhio nudo introdotte dal Ministro dell’Interno del Governo del Cambiamento di Carlo Patatu Sarà perché sono un vecchio signore educato in altre stagioni; ma per me l’Inno nazionale (o Canto degli Italiani, com’è stato ribattezzato con una legge recente[1]) è un simbolo della Repubblica. Non è roba da spiaggia. Fin da quando me lo insegnò il mio caro maestro Brau in quarta elementare, l’ho sempre cantato e ascoltato come si recita un’orazione. Serio e composto. A La Maddalena, dove ho frequentato la prima media[2], avevo occasione di assistere, pressoché quotidianamente, all’ammaina bandiera davanti al palazzo dell’ammiragliato. La cerimonia, col picchetto dei marinai sull’attenti, aveva come colonna sonora Fratelli d’Italia. Ebbene, la Piazza del Comando, in quell’ora affollata dal passeggio dei maddalenini, si fermava come d’incanto. In segno di rispetto per ciò che quella musica rappresentava. La piazza si rianimava soltanto dopo l’ultima nota dell’inno. Ricordo che, a Parigi, ho avuto occasione di trascorrere un intero pomeriggio a leggere su una panchina dei Giardini del Lussemburgo. A un certo punto, è arrivata una banda musicale a occupare un palco allestito sotto un albero gigantesco. Il concerto improvvisato si è aperto con La Marsigliese[3]. Al che tutti i presenti, ma proprio tutti, si sono alzati in piedi per ascoltare compunti. Ovviamente anch’io ho fatto altrettanto. Analogamente mi è accaduto di sperimentare a Londra nel momento in cui, in qualsivoglia circostanza, si levavano nell’aria le note di God save the Queen[4]. Gli inni e le bandiere nazionali sono simboli che rappresentano l’unità di un popolo, materializzano il concetto di Patria, che oggi pare essere alquanto fuori moda. Ci ricordano la nostra storia e tengono viva la memoria dei tanti giovani e non solo che, nel loro nome, hanno perso la vita o hanno subito mutilazioni e sofferenze indicibili. Oppure hanno conquistato allori e riconoscimenti internazionali nei campi della letteratura, poesia, scienza, arte, sport e così via. Ebbene, lo spettacolo inscenato qualche giorno addietro in una spiaggia dell’Adriatico e avente come protagonista principale il nostro Ministro dell’Interno mi ha stupito non poco. I versi di Goffredo Mameli, morto nel 1849 appena ventiduenne combattendo per la Repubblica Romana, cantati malamente sulle note di Michele Novaro da una folla festante, discinta e plaudente, mi hanno lasciato di sasso. Diversamente da quanto mi accade solitamente ascoltando il Canto degli Italiani. Cubiste in costume leopardato e tronisti in servizio permanente si agitavano ritmicamente sotto lo sguardo compiaciuto del Ministro, che stava alla consolle con mansioni di regista di quello spettacolo miserevole e offensivo. Vero è che, in passato, il vecchio Bossi ci aveva abituato a ben altro, urlando con voce roca che il Tricolore lo avrebbe gettato nel cesso, dopo avere provveduto a pulirsi una parte nobile del proprio corpo. Il tutto condito con elevazione del dito medio e mossa dell’ombrello, per sottolineare che lui e i suoi accoliti ce l’avevano sempre duro. Ma Bossi, con la sue sparate e l’ostensione di ampolle con l’acqua del Dio Po, era una macchietta che lasciava un po’ il tempo che trovava. Tant’è che, più tardi, ci hanno pensato i suoi a chiamare gli assistenti e collocarlo a riposo d’ufficio. Ora la situazione pare più seria. Abbiamo di fronte a noi un Ministro che sa bene quel che vuole e che intende raggiungere l’obiettivo ricorrendo ai mezzi che il suo carattere gli mette a disposizione: capacità di comunicare, modi sbrigativi, insulti a chi non la pensa come lui, espressioni arroganti che, lo confesso, incominciano a preoccuparmi. Soprattutto perché tali atteggiamenti, non consoni al ruolo di governo che l’uomo ricopre, sono seguiti dallo sguardo adorante dei suoi corifei e conditi con applausi ed espressioni isteriche di consenso che credevamo di avere sepolto nel dimenticatoio. Per sempre. Il Ministro gode di un gradimento superiore a ogni attesa e a qualsivoglia merito. Ha ai suoi piedi, muti e rassegnati, i grillini ridotti ormai a zerbino. Che bisogno ha di blaterare in quel modo indegno, facendo ricorso a un linguaggio espresso con larghe dosi di superbia, altezzosità, presunzione e sfrontatezza? Perché insultare i giornalisti, snobbare il Parlamento e mandare a quel paese chiunque gli chieda conto dei 49 milioni sottratti agli Italiani, della cosiddetta Moscopoli, delle moto d’acqua della Polizia di Stato utilizzate come tassì del mare per farci giocare i suoi cari? Evidentemente c’è qualcosa che non va, un qualche tarlo che lo rode e gli fa perdere la trebisonda. Probabilmente, si sente poco sicuro di sé, ha paura di affrontare l’apparir del vero e pertanto s’inventa una miriade di pretesti per distrarre l’opinione pubblica dai problemi veri che assillano la nostra comunità nazionale. Ma fino a quando? Alla fine, anche per lui verrà il momento in cui il re apparirà nudo, come accadde nella bella fiaba di Hans Christian Andersen[5]. Per quanto ne capisco, quel giorno non mi pare lontano.
[1] Legge 4 dicembre 2017, n. 181 [2] 1947/48. [3] Inno nazionale della Francia. [4] Dio salvi la Regina, inno nazionale del Regno Unito. [5] I vestiti nuovi dell’Imperatore.
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Salvini si rivolge alla pancia delle persone, solleticandone gli istinti più bassi e un facile consenso.
E’ l’espressione di una sub cultura che si nutre di razzismo, di xenofobia, di populismo, di disprezzo per il diverso. Una sub cultura, che ha eliminato dal suo vocabolario e dal suo agire parole come solidarietà, fratellanza, generosità, misericordia.
E’ l’espressione di un odio profondo per le istituzioni democratiche, quelle nate dalla Resistenza.
E’ l’espressione di un avanzare rumoroso della peggiore destra, dell’affacciarsi di un nuovo fascismo contemporaneo, funzionale a governare senza dare risposte.
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Approvo e sottoscrivo, per quanto può valere il mio parere. Siamo ridotti a questo punto! Pensa che, di tanto in tanto, mi viene da rimpiangere quei personaggi democristiani che tu, io e tanti altri abbiamo combattuto. Talvolta anche con durezza.
I De Gasperi, gli Andreotti, i Berlinguer, i Togliatti, i Nenni e persino i Craxi, ma anche La Malfa, Almirante e Malagodi sapevano stare a tavola e parlavano un buon italiano.
Oggi pare che noi abbiamo sbarrato le porte del cervello, del sentimento e della ragione. Per "sentire" soprattutto con la pancia.
Che disastro! (c.p.)