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Cambiamento: che roba è? |
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Giovedì 19 Dicembre 2019 12:50 |
di Carlo Patatu Cos’è il cambiamento? Secondo il Dizionario Treccani, è il cambiare. Di casa, di stagione, di abitudini, di carattere; il mutamento di situazioni, di stato delle cose; della circolazione dei veicoli da un lato all’altro della strada; di assetti socio-culturali della comunità.
In politica ne abbiamo sentito parlare da sempre e, per lo più, a sproposito. Il primo presieduto da Giuseppe Conte, per esempio, si era autoproclamato Governo del cambiamento. Ma nessuno, in verità, se n’è accorto se non per i volti nuovi e sorridenti esibiti in occasione del giuramento al Quirinale. Eppure chi ciancia di cambiamento solitamente riscuote udienza e persino successo. Anche se, come amava sottolineare Winston Churchill, non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare. Il guaio è che il dare ingenuamente credito agli imbonitori faciloni, ci rende impazienti: vorremmo che le cose che non ci stanno a genio cambiassero Intanto, in Italia e non da poco, allorquando non si possono (o vogliono) cambiare le cose, è d’uso cambiarne i nomi. Per dare un tocco di modernità e illudersi che, chiamandola in altro modo, anche la cosa sia diversa da prima. Il che non è. E così il becchino diventa custode del cimitero; lo spazzino è operatore ecologico; il bidello è promosso prima al rango di ausiliario e infine di collaboratore scolastico; i ciechi diventano non vedenti e i portatori di handicap li si definisce diversamente abili; i direttori didattici e presidi di ieri sono ora dirigenti scolastici; l’eterno condono in favore dei ladri che non pagano le tasse è contrabbandato come pace fiscale; e così via per tutta una serie di figure professionali. Che continuano a esercitare funzioni antiche con nomi nuovi. È di questi giorni la riforma epocale (!) partorita dal capo dei grillini. I quali avevano propagandato fin dalla loro nascita certa rivoluzione nel linguaggio politico. Niente più onorevoli e senatori, ma portavoce del popolo. Sinceramente, ammetto di non averci colto qualcosa di diverso, fuorché il nome. A parte amenità quale l’annuncio osannante fatto dal balcone di Palazzo Chigi di avere sconfitto la povertà, il M5S s’è dotato di una parvenza di direttorio volto a sostenere (ma probabilmente a controllare) il capo Giggino da Pomigliano. Ma poiché i pentastellati insistono nel ripetere che sono un movimento e non un partito, i componenti di quel direttorio si chiamano facilitatori. Di che? Mi riesce difficile capire. Ops! Fatto! Una bella novità, non vi pare? Ma s’è trattato di mutamenti sostanziali? Non credo. Eppure alitando un po’ di fumo negli occhi dei più sprovveduti, si presume di dare la sensazione che qualcosa di nuovo ci sia davvero.
Vero è che Nelson Mandela sosteneva che il compito più difficile nella vita è quello di cambiare se stessi. In linea con quanto insegnava Confucio: solo i più saggi o i più stupidi degli uomini non cambiano mai. Ma senza esagerare, mi permetto di aggiungere. Anche perché, scrollandoci finalmente di dosso la pelliccia del gattopardo, non possiamo stare alla finestra, a fare da spettatori. Può darsi - ammoniva Martin Luther King - che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla. Cade a fagiolo, al riguardo, la riflessione di Leonardo Sciascia: di me vorrei che si dicesse: “Ha contraddetto e si è contraddetto”, come a dire che sono stato vivo in mezzo a tante “anime morte”, a tanti che non contraddicevano e non si contraddicevano. Lo confesso, essere ricordato così piacerebbe anche a me.
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