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Epidemie ieri, oggi e… domani |
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Venerdì 06 Marzo 2020 20:17 | |
Siamo in ambasce per il Coronavirus - Lo fummo pure per l’Asiatica - Un secolo fa, la “Spagnola” produsse un’ecatombe anche a Chiaramonti, dove ne morirono fino a 9 in un solo giorno di Carlo Patatu
on siamo immortali. Lo sappiamo da sempre; eppure stentiamo a crederci.
Consapevoli delle potenzialità del nostro cervello e legittimamente orgogliosi dei progressi fatti dall’uomo in tutti i campi e in tutti tempi, c’illudiamo che avversità, malattie e quant’altro di brutto accade intorno a noi debba riguardare gli altri, non noi personalmente. Invece viene un momento in cui, più o meno all’improvviso, ci “appare il vero” e il mondo ci crolla addosso. Basta un temporale con tuoni e fulmini, oppure un terremoto anche lieve o il diffondersi di un’epidemia a richiamarci alla realtà, a ricondurci alla nostra dimensione di umana fragilità. Che i pur fantasmagorici progressi della scienza e della tecnica non sono riusciti ancora ad annullare. Siamo fragili. Abbiamo perso, in parte, la capacità di resistere alle sofferenze e di affrontare ragionevolmente le avversità come eventi naturali del nostro vivere quotidiano. È sufficiente la mancanza, solo per qualche ora, di energia elettrica per metterci in crisi. Non stupisce, pertanto, l’ansia che oggi ci assale in presenza di un evento che mette in discussione la nostra salute: il diffondersi del Coronavirus. Soprattutto perché si tratta di un male oscuro, per combattere il quale, al momento, non abbiamo armi adeguate. Ci dobbiamo pertanto accontentare di regole comportamentali che c’infastidiscono molto e ci promettono poco.
La pandemia diffusasi nel pianeta negli anni 1918-19, nota come “Spagnola”, colpì all’incirca un terzo della popolazione mondiale e mandò all’altro mondo parecchie decine di milioni di persone. Più di quante ne morirono nella Grande Guerra. Un’ecatombe. A Chiaramonti i primi contagi si manifestarono nella Primavera 1918 e si moltiplicarono vistosamente nei mesi autunnali. Solitamente, si registravano da 4 a 5 decessi in ciascun mese. In quell’anno, ad Agosto i morti furono 6, a Settembre 8, Ottobre 8, Novembre 54 e Dicembre 28. Nell’intero anno se ne portarono al cimitero 130! In quel tristissimo mese di Novembre, il picco dei decessi lo si registrò il giorno 19, con ben 9 morti. In quel fatidico giorno perse la vita, fra gli altri, una mia prozia, Gavina Murgia, sorella della mia nonna materna Paolina.
Giorgio Falchi[1] annotava nelle sue cronache, sotto il titolo Desolante mortalità di persone, che “…trovandosi gravemente ammalato in Sassari il sanitario del luogo, la prefettura tosto occorreva al sentito ed imperioso bisogno mediante l’invio del dottore Gobelli di Sassari, capitano medico di complemento; non lasciando di farsi stimare per lo zelo addimostrato nella cura degl’infermi, nonché per la non comune perizia nell’esercizio dell’arte salutare”. L’ultima epidemia grave che io ricordo è la cosiddetta “Asiatica”. Di origine aviaria, ebbe inizio a Singapore e negli anni 1957-60 si sviluppò dappertutto. Fece oltre due milioni e mezzo di morti. Oggi medici e scienziati sono al lavoro, alla ricerca di rimedi per rallentare e bloccare la diffusione del virus, puntando alla scoperta di terapie e vaccini efficaci. Sono certo che ci riusciranno. Ma ci vorrà del tempo. Frattanto, il Governo ha emanato provvedimenti che, allo scopo di contrastare le infezioni, ci obbligano a modificare le nostre abitudini quotidiane ormai consolidate. Dovremo avere un po’ di pazienza. Supereremo anche questa prova se riusciremo e tenere dritta la schiena e altro il morale. Abbiamo delle eccellenze che non possiamo trascurare. Diamo fiducia al Servizio Sanitario Nazionale. Facciamoci le vacanze in Italia, mangiamo e vestiamo italiano, beviamo i nostri vini, che ben figurano in tutte le tavole. Aiutiamo la nostra economia a non soccombere. Alla faccia di chi ieri ci derideva e oggi si ritrova il Covid-19 in salotto. Ha da passa’ ‘a nuttata, diceva Eduardo.
[1] Cfr. CARLO PATATU, Chiaramonti - Le cronache di Giorgio Falchi, ed. Studium adp, Sassari 2004, pag. 227.
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Questo press'a poco il titolo dato dal compianto modernista Francesco Manconi-Corda, di padre nulvese e di madre calangianese, alla peste manzoniana, in versione sarda. Due marinai catalani ce la donarono dal porto di Alghero. Dal 1652 fino al 1658 imperversò in tutta l'Isola, decimandone la popolazione. Il fatto peggiore fu che decimò sia le classi degli studenti delle scuole inferiori e superiori che nei soli 4 collegi gesuitici assommavano a 2500 unità, parlo dei collegi di Sassari, Alghero, Iglesias e Cagliari, per non citare i collegi degli Scolopi, ma decimò anche i professori dell'uno e dell'altro ordine religioso.
Da lì l'inizio della decadenza della classe scolastica che per riprendersi ci volle la riforma delle università, delle scuole e dei seminari, da parte del Bogino, cento anni dopo (1763-1773). Non parliamo della popolazione delle due grandi città di Sassari e Cagliari. Nella parrocchia di Santa Caterina in Sassari non si segnarono ad un certo punto più i morti perché morì anche il parroco che li registrava. Un danno incalcolabile che ci "addietrò", di molto, per oltre cento anni. Per chi desidera informarsi a fondo segnalo questi tre magistrali saggi: Francesco Manconi, Castigo de Dios, la grande peste barocca nella Sardegna di Filippo IV, Donzelli, Roma 1994. Raimondo Turtas, La nascita dell'Università in Sardegna,Dipartimento di Storia dell'Università di Sassari, Sassari,1988. L'Università di Sassari nell'età delle riforme (1763-1773),Sassari, Chiarella 1992.