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Maria Lepori: Faide - Nobili e banditi nella Sardegna sabauda del '700 |
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Martedì 16 Giugno 2020 17:01 | |
Recensione di Angelino Tedde
i siamo posti, noi chiaramontesi, tante volte molte domande sulla nostra storia del Settecento senza avere risposte; in realtà siamo stati noi che non le abbiamo cercate. Maria Lepori, già professoressa di Storia Moderna presso l'Università degli Studi di Cagliari, con un invidiabile curriculum contrassegnato da un master in Francia presso Les Ecoles de Hautes Etudes, ha dato risposta, in questo brillante saggio, oltre che alle domande sulle fazioni di Oristano, anche su quelle di Ozieri, dell'Anglona e della Gallura, esattamente dieci anni fa. Il suo saggio è quanto di più prezioso si possa avere, per mettere in luce la nostra storia locale. Leggerlo e tenerlo a portata di mano, nella biblioteca consortile prima e in quella di ogni famiglia anglonese poi, è d'obbligo se si vogliano conoscere larghi squarci della locale storia settecentesca evitando di costruirla con fantasticherie come è dato vedere spesso in internet.
Particolarmente affascinante è la descrizione della zuffa presso la Serra de sos listinchinos in agro di Nulvi, località non molto lontana da Orria Manna, dove la fazione di Juan Tedde con uomini rivestiti in semplici abiti di orbace contrastavano con i nobili Delitala, rivestiti di corpetti dai bottoni d'argento che luccicavano durante la battaglia. Tutti su cavalli sardo-andalusi, con gli archibugi puntati, pronti a risolvere i loro problemi con le armi; ma, soprattutto, a salvare l'onore delle rispettive famiglie, considerato un valore imprescindibile. Su queste zuffe alla campagna non vi era potere istituzionale che potesse interferire. Per riparare i torti non si ricorreva affatto all'autorità regia e viceregia, ma era una questione che si doveva risolvere con la zuffa e nemmeno a tradimento. Un codice cavalleresco dominava quella piccola aristocrazia terriera nobilitata in vari tempi durante i quattro secoli del dominio spagnolo, ma in realtà costituita di avidi possidenti. Alla base di tutto l'economia, il denaro, il predominio, ma soprattutto l'onore della famiglia. Le ruberie di granaglie da vendere a contrabbando, l'abigeato di bestiame di ogni genere, segnatamente di cavalli, la mancanza di rispetto per una donna e una vedova doveva essere pareggiata sul campo. Le faide insanguinavano in modo brutale il territorio. Non solo le regole o il codice della vendetta barbaricina di Antonio Pigliaru, ma anche la lotta tra le fazioni settecentesche non era avulsa dalla legge della vendetta. Juan Tedde, conosciuta la crudele uccisione del cugino Don Gavino Tedde, mentre moriva in una stanza in cui l'aveva accolto a Nulvi la cugina Baingia Delitala, non ci pensa due volte, per vendicarne la morte, a recarsi in quadriglia presso la chiesa dov'erano ospiti sotto asilo ecclesiastico i Manunta e i Salis, autori del misfatto, incendiando la chiesa, stanando uomini donne e bambini e con gli archibugi e compiendo un massacro di tutta questa gente per l'uccisione di un uomo che era, oltre che parente, consigliere e amico. D'altra parte, anche Donna Lucia, oltraggiata quindicenne in pubblico, trova il suo vendicatore nel benestante fedale giovanotto Giovanni Fais e nel fratello che manda all'altro mondo l'impudente Gio' Maria Tedde, autore dell'oltraggio. Giovanni si darà alla latitanza e la nobildonna non si dimenticherà mai di lui. Questo delitto non basterà a colmare la sete di vendetta della nobildonna, divenuta per eredità signora di Chiaramonti a 12 anni! Maria Lepori, abile regista della sua narrazione storica, richiama in vita questa bellicosa società sarda settecentesca come in un film tridimensionale tanto che, a un certo punto, ti pare di farne parte. Queste saghe familiari dei Delitala Tedde e dei Tedde Delitala pare non abbiano fine. Ci penseranno i piemontesi, con brutalità, a farla scomparire con le condanne a morte, l'esilio e altro. La lettura del saggio è sicuramente avvincente; si legge quasi come un romanzo tragico.
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