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Quei malati non li voglio no! |
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Domenica 02 Agosto 2020 19:05 | |
La pretesa del Sindaco di Ploaghe d’interferire sulle decisioni della di Carlo Patatu
campato pericolo. Il paventato arrivo nella struttura sanitaria pubblica del San Giovanni Battista a Ploaghe di tre immigrati contagiati da Covid-19 non ci sarà. Non ci sarebbe stato comunque, ha precisato l’assessore regionale alla Sanità Nieddu, poiché l’operazione era, e resta tuttora, confinata nel terreno delle ipotesi. Ma se dovesse rendersi necessario... Due consiglieri regionali con bacino elettorale in area ploaghese, così riportava La Nuova di ieri, si sono affrettati a rendere noto che il mancato arrivo di quei tre (poveretti due volte: immigrati clandestini e in compagnia del coronavirus) sarebbe frutto delle loro pressioni tempestive su chi di dovere. Un intervento su qualcosa che non esiste, ha replicato gelido l’Assessore. In breve, i tre immigrati se ne staranno da qualche altra parte; ma non a Ploaghe. Il sindaco Sotgiu, rincuorato dalla notizia, di certo avrà revocato lo stato di allerta e richiamato ai compiti usuali le truppe della Polizia municipale: tre o quattro agenti al comando di un capitano.
Unicuique suum, dunque. A ciascuno il suo. Premetto che mi sento molto legato a Ploaghe da vincoli parentali e professionali. Il mio nonno materno, Salvatore Pulina, era ploaghese. La maggior parte dei miei parenti stanno in quel paese, non altrove. A Ploaghe ho trascorso un anno da studente, un paio d’anni da insegnante precario, sette da segretario e una quindicina da dirigente scolastico alla guida del Circolo Didattico “Giovanni Spano”. Inoltre per una decina di anni ho curato le corrispondenze da quel comune per La Nuova Sardegna. Insomma: sono uno che non è stato alla finestra, in quegli anni, e che pertanto si è calato un po’ in tutte le realtà locali, partecipandovi attivamente. Anche in rappresentanza della Scuola. Vedendo le cose con i propri occhiali, ovviamente, e non mancando di commettere errori. Come accade a tutti. Ciò mi consente però di rendere testimonianza dell’impegno e della determinazione con la quale i sindaci e i consiglieri comunali di quegli anni si sono battuti, col sostegno unanime della cittadinanza e delle istituzioni del luogo, scuola compresa, perché quella cattedrale nel deserto che all’epoca era il San Giovanni Battista prendesse corpo e diventasse, com’è poi avvenuto, un complesso importante per il territorio. Sia sul versante sanitario, che su quello sociale e dell’occupazione. Ebbene, ora che hanno vinto (pur se soltanto in parte) la loro battaglia, chi dà diritto ai ploaghesi, nella persona del loro Primo cittadino, d’interferire sulla qualità dei pazienti da ricoverare in quella struttura? Questo mi aggrada, quell’altro no. Che dovrebbero fare, allora, i sindaci delle città sedi di ospedali? Dovrebbero insorgere anch’essi ed ergersi a paladini delle paure dei propri concittadini? Magari arrivando persino a schierare le guardie municipali per impedire il ricovero dei contagiati da coronavirus provenienti da altrove? Not in my backyard, non nel mio giardino. Metteteli dove volete, ma non qui. Saremmo all’assurdo! Sarebbe la sconfitta della civiltà giuridica, della cultura dell’accoglienza, nonché della ragionevolezza, che devono guidare sempre l’azione di governo di un amministratore pubblico. Ricordo che, nei primi anni Novanta, la comunità ploaghese accolse di buon grado un gruppo nutrito di profughi albanesi, ospiti dell’albergo Solinas al Corso a spese della Prefettura. Uno di loro, ribattezzato Albano dal padrone di casa, mi pare che si sia stabilito definitivamente a Ploaghe. Un altro, Cosimo, che parlava un buon italiano, ha trovato lavoro a New York, dove vive con moglie e figlio. Mi scrive di tanto in tanto e non manca mai di ricordare l’affetto e il calore col quale fu accolto in paese. Sono certo che, passata la tempesta, il sindaco Sotgiu, che so essere persona equilibrata, rifletterà su quanto è accaduto e saprà spiegare autorevolmente ai propri amministrati, che ne capiranno le ragioni, quanto sia importante avere in loco una struttura sanitaria, alla quale soltanto, e non ad altri, compete la responsabilità di decidere chi accogliere e chi no. Ovviamente nelle previste condizioni di sicurezza.
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