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Su Duttore – 4a parte |
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Lunedì 28 Dicembre 2020 10:48 | |
di Carlo Patatu
sostituire Su Duttoreddu nella condotta fu chiamato il dottor Fortunato Busonera, originario di Sassari. Sposato e con figli ancora piccoli, il nuovo medico prese in affitto la palazzina dei Murruzzulu, in Piàtta[i]. A due passi dall’ambulatorio. Busonera era persona cortese, ma gli facevano difetto decisionismo e coraggio. Segnatamente quando doveva fare una scelta sul se e sul come intervenire d’urgenza nei casi gravi. Costantemente preoccupato di non procurare troppa sofferenza al paziente. Era una sorta di Sor Tentenna. Fu lui a curarmi il pollice della mano sinistra, la cui falange mi fu tranciata dalla macchina per fare la pasta in casa di nonna Murgia. Frequentavo la quinta elementare, e sas tazòlas[ii] si producevano in famiglia. Ebbene, quando in ambulatorio mi medicava la ferita, che tardava a rimarginarsi, lui pareva soffrire più di me. E dire che io non sono mai stato un campione di baldanza in simili frangenti. Ricordo inoltre che, sia pure con modi garbati, trattava la gente col distacco tipico dei sassaresi di allora verso gli accudìddi[iii]. Specie se biddùnculi[iv].
Il dottor Marcellino, camicia nera della prima ora, fu segretario politico del fascio locale durante il Ventennio e commissario prefettizio del Comune dal Giugno 1940 al Maggio 1941. Vecchie foto lo ritraggono impettito in pose solenni durante le cerimonie ufficiali al parco della Rimembranza; come pure nei saggi ginnici del sabato fascista a Codìna Ràsa. Insomma, era persona molto in vista. In quegli anni esercitò un potere notevole in paese. Di tanto in tanto, gli scappava di minacciare a questo o a quello di mandarlo al confino. Ma senza poi dare seguito a quelle sfuriate estemporanee e inconcludenti, dettate soprattutto dal suo carattere irascibile e alquanto autoritario. Tutto sommato, era una brava persona. Che però aveva il torto di vivere in un paesetto conservando l’atteggiamento dell’uomo di città. Gli mancava quel minimo di duttilità che gli consentisse di entrare in sintonia coi compaesani, dai quali si aspettava sottomissione e rispetto in misura e forme diverse e superiori al dovuto. Invece, nella quotidianità si sentiva considerato pur sempre forestiero. Un grosso limite il suo, a ben vedere. Il che, pare ovvio, ai chiaramontesi non tornava gradito. Come medico, esercitava la libera professione in un ambulatorio proprio, allestito in due stanze al piano terreno della palazzina allora di famiglia[vi], in largo Azuni.
Rammento che si notava un viavai insolito per la strada. Specie di donne. Si percepiva bene l’atmosfera pesante legata all’indignazione e alla protesta che ne conseguiva. L’ambulatorio comunale, infatti, se ne stava chiuso già da qualche giorno. In mancanza della chiave, al nuovo medico era materialmente impedito di prenderne possesso. E ai malati di fruirne il servizio. Tant’è che, essendo montata la rabbia dei pazienti, a un certo punto tra alla folla imbestialita comparve un asino… La protesta era sul punto di prendere una brutta piega. Ai più anziani tornò alla mente l’episodio della cacciata del parroco padre Stefano Maria Pezzi, contestato dai parrocchiani con vivacità e determinazione tali da indurre l’arcivescovo Diego Marongiu Del Rio a trasferirlo con urgenza altrove. Anche in quella occasione un asino fu portato dinanzi alla casa parrocchiale[vii]. Altri non mancavano di ricordare un’altra manifestazione popolare di protesta che, inscenata nell’estate del 1919 davanti al Comune, provocò la caduta della giunta con le dimissioni del sindaco cavalier Nicolò Madau, l’uomo più ricco del paese[viii]. So per certo che, a porre fine alla controversia strampalata fra i due dottori che si contendevano la chiave dell’ambulatorio, ci fu l’intervento provvidenziale del Sindaco[ix]. Che, prendendo il toro per le corna con autorevolezza, dovette fare ricorso a metodi piuttosto sbrigativi ma efficaci, inducendo così il medico riottoso a più miti consigli. La chiave contesa passò di mano nel volgere di qualche ora e tutto tornò a posto. Ma il dottor Marcellino visse il resto dei propri giorni convinto d’essere stato vittima di un sopruso, se non proprio di uno sgarbo. Lui ch’era stato capo del Comune e gerarca di primo livello del fascio chiaramontese!... Dopo qualche tempo, nuovo cambio di guardia: a Busonera, trasferitosi a Codrongianos, subentrò, ma per un periodo breve (forse un anno o poco più), il dottor Porcella. Giovane, distinto e dal fare cortese. Le ragazze se lo divoravano con lo sguardo. Ma lui, da buon professionista, se pure ebbe qualche preferenza, non pareva darlo a intendere. Subito dopo la sua destinazione ad altra sede, giunse qui il dottor Stefano Catta.
4 – continua
Cfr.: CARLO PATATU, Il paese che non c’è più, ed. EsseGi, Perfugas, pagg. 93-111. [i] Passato di mano, quell’edificio è di proprietà di Iolanda e Farìcu (Salvatore) Denanni. [ii] Le tagliatelle. [iii] Quelli che provenivano da altro paese o città. [iv] Nel senso di villano, rustico, zotico. [v] Il primo mulino fu impiantato a Chiaramonti dall’industriale Michele Pinducciu nel 1902. Funzionava a vapore. Il Pinducciu, racconta Giorgio Falchi (che erroneamente lo indica come Antonio Pinducci) fu barbaramente assassinato alle otto di sera del 28 Dicembre dello stesso 1902, mentre rientrava a casa dopo il lavoro. Colpito con due fucilate, patì un’agonia lunga e straziante. Ma nessuno osò mettere il naso fuori della porta per vedere cos’era accaduto; né per portargli soccorso. Aveva appena 31 anni. Cfr. CARLO PATATU, Chiaramonti - Le cronache di Giorgio Falchi, ed. Studium adp, Sassari 2004, pagg. 138-139 e Register defunctorum, Parrocchia San Matteo Apostolo in Chiaramonti, anno 1902, n. 45. [vi] Successivamente è stata acquistata da Carlo e Salvatorica (Farìca) Satta. [vii] Il fatto accadde nel 1892. [viii] Cfr. CARLO PATATU, Chiaramonti, le cronache di Giorgio Falchi, ed. Studium adp, Sassari 2004, pagg. 232-233. [ix] Il dott. Antonio Luigi Madau noto Gigi. |
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Ultimo aggiornamento Lunedì 28 Dicembre 2020 10:59 |