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1977: Il “gran rifiuto” dei pastori di Chiaramonti PDF Stampa E-mail
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Giovedì 23 Settembre 2021 11:21

Il progetto di delimitazione di un comprensorio agro-pastorale di 800 ettari e un finanziamento di tre miliardi di lire ebbe la imprevedibile opposizione della gente di campagna

di Carlo Patatu

I

n quattro puntate, pubblicate su queste pagine, mio fratello Tore ha riassunto la vicenda incredibile del “gran rifiuto” opposto dai pastori di Chiaramonti alla sola proposta di delimitare un comprensorio agro-pastorale di circa 800 ettari nel nostro comune, in attuazione di una legge regionale di riforma di quel comparto.

Tore, come ha tenuto a sottolineare, lo ha fatto nel modo affabulatorio che gli è proprio, raccontando alcuni episodi curiosi accaduti a margine dell’ultima assemblea popolare su quel tema. Forse è ricorso all'ironia per stemperare l’amarezza (sua e mia) per quel rifiuto inatteso e incomprensibile della gente di campagna. Entrambi fummo protagonisti di quella storia, essendo stato io sindaco di questo comune dal 1970 al 1975 e Tore dal 1975 al 1980.

Su quella vicenda ho scritto un libro di 250 pagine (Il gran rifiuto, ed. EsseGi, Perfugas 2013), che ho regalato ai miei compaesani e a chi aveva interesse a leggerlo. Vi ho riportato i termini della questione, i testi delle leggi regionali vigenti in materia di agricoltura, gli articoli apparsi sulla stampa locale e nazionale, i testi di tutti gli interventi registrati durante l’assemblea popolare (la ventesima, se non sbaglio) tenutasi sull’argomento il 28 Dicembre 1977 e ripresa da una troupe della Rai.

Colgo l’occasione per riportare le battute finali del libro. Vi si legge quello che io pensavo allora sulla questione e che continuo a pensare ancora oggi.

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“La contingenza politica.

“Ho sempre pensato, anche se un minimo di pudore mi ha impedito di farne menzione in pubblico, che se a capo dell’amministrazione comunale di Chiaramonti ci fosse stato un sindaco allevatore e democristiano, forse (sottolineo forse) la proposta del piano regionale sarebbe anche potuta passare. Sicuramente con sofferenza. Ma sono certo che, in ogni caso, sarebbe stata accolta in modo diverso. E comunque gli allevatori non si sarebbero schierati in modo così platealmente contrario al progetto regionale e alla proposta della mia maggioranza. Cui il responso delle urne aveva assegnato ben dodici consiglieri, a fronte dei tre dell’opposizione democristiana.

“Può darsi che mi sbagli; ma credo proprio che, da parte di taluni ispiratori del no a ogni costo (dico soltanto taluni; e cioè pochi ma influenti e capaci di contrabbandare per oro colato previsioni e congetture che oro non erano), l’attacco frontale al piano di riforma agro-pastorale sia stato semplicemente un mirare al falso scopo.

“Come usa in artiglieria per colpire il bersaglio vero, quando un ostacolo non consente di prendere la mira direttamente sull’obiettivo. Che, nella fattispecie, era un socialista sindaco che, per la prima volta nella storia di questo comune, aveva osato portare i comunisti in giunta e, durante la consultazione elettorale del Giugno 1970, aveva umiliato la DC locale come mai era accaduto prima. Tant’è che, insieme alla lista allora presentata agli elettori, andarono a fondo anche i responsabili della gestione ultraventennale di quel partito.

“Una debacle che gridava vendetta al cospetto dell’elettorato democristiano e che poteva essere riscattata soltanto con azioni volte a screditare colui e coloro che del successo di una lista di sinistra erano stati gli artefici. E cioè i trionfatori di quelle elezioni amministrative. Non si spiegherebbero altrimenti tanto livore e tanta disinformazione seminati a piene mani e ai quattro venti. Soprattutto da individui che con l’agricoltura e con la pastorizia non avevano niente a che fare. E dimenticando costoro (o facendo finta) che la legge di riforma era stata approvata in consiglio regionale da una maggioranza formata dai partiti dell’intero arco costituzionale rappresentati a Cagliari. Democristiani e comunisti compresi. Muoia Sansone...

[…]

“Ecco. Questa, in sintesi, la cronistoria di un’occasione perduta dal mio paese. Che oggi occupa gli ultimi posti in Anglona per vivacità amministrativa, imprenditoriale, economica e persino culturale. Questo il panorama descritto a grandi linee da uno che è stato fra i protagonisti di quella vicenda straordinaria.

“Mi si potrà rimproverare di avere mancato di obiettività. Ma dove sta scritto che, in simili frangenti, si può (si deve!) essere obiettivi? Per mio costume, faccio le cose e manifesto i pensieri senza rinunciare mai a indossare la mia giacchetta. La mia, si badi bene, non quella di altri. Come diceva Enzo Biagi, posso avere commesso più di un errore, come capita un po’ a tutti; ma sempre per conto mio. Mai per conto terzi! Ecco perché qui racconto la mia verità, assumendomene ogni responsabilità. Se qualcuno, al contrario, ritiene che le cose siano andate diversamente e che la verità sia un’altra, ebbene, non gli resta che prendere carta e penna (oppure il pc) per raccontare la propria. Quella vera, ammesso che ce ne sia una, non potrà che scaturire da un confronto serio e meditato. Meglio se a più voci.

“Conclusioni.

“Successivamente a quell’assemblea singolare, sull’argomento è da registrare la messa in onda della trasmissione televisiva Tam Tam a cura di Franco Biancacci (in prima serata su Raiuno); quindi un ampio ser- vizio apparso su Famiglia Cristiana a firma di Angelo Montonati, alcuni miei articoli pubblicati sulla Nuova Sardegna e, dulcis in fundo, una coda polemica con una lettera inviata da una decina di chiaramontesi al di- rettore del quotidiano sassarese.

“Del comprensorio agro-pastorale da valorizzare, fatte salve poche altre e inconcludenti discussioni pubbliche e private fra amministratori comunali, allevatori e associazioni di categoria, non si parla più. Se non in qualche chiacchiera da caffè. Per recriminare o addossare a questo e a quello la responsabilità del fallimento clamoroso dell’iniziativa intra- presa qualche anno prima dalla giunta municipale da me presieduta.

“C’è da ribadire, come ho già detto, che il piano regionale di ri- forma dell’assetto agro-pastorale in Sardegna non ha avuto il successo che il legislatore si proponeva e si aspettava. L’ambiguità della normativa (frutto avvelenato di inevitabili compromessi), la crisi economica incombente e il susseguirsi di altre e variegate maggioranze politiche in Regione hanno fatto suonare la campana a morto su un progetto che, al di là delle velleità riformatrici di chi l’aveva ideato e fatto approvare, ha avuto il torto di calarsi in una realtà sociale che, per dirla col presidente Mario Monti, non era ancora ‘culturalmente pronta’ a rece- pirlo. Oggi, forse, quel piano avrebbe un’accoglienza diversa.

“Resta tuttavia il fatto, per me sconcertante, che, nella circostanza, i pastori miei compaesani, prima di esprimere un diniego così drastico e ultimativo, non hanno speso nemmeno un minuto del proprio tempo a riflettere, a ragionare sui pro e sui contro di quella proposta. Che tale è rimasta (una proposta, appunto), avendola essi respinta sdegnosa-mente a priori.

“Da qui scaturisce la domanda finale: è possibile che, a fronte di problematiche complesse e coinvolgenti il futuro di una comunità intera, persone mature e (si presume) dotate di raziocinio possano mani- festare atteggiamenti umorali di tal fatta? In particolare, erano allora gli allevatori chiaramontesi affetti da shock da futuro? Pativano anch’essi di una patologia che li ha indotti a commettere l’errore del bruco?

“Ciascuno si dia le risposte che crede”.

 

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