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A Chiaramonti il Red’s Bar abbassa le serrande PDF Stampa E-mail
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Venerdì 15 Ottobre 2021 11:49

I cugini Giuliana e Marco Ruiu, che lo gestiscono, lamentano turni di lavoro massacranti e difficoltà a trovare persone da coinvolgere in responsabilità gestionali

di Carlo Patatu

Non ci posso credere!

A decorrere da oggi, il Red’s Bar, locale storico e prestigioso di questo paese, chiude i battenti. Nessun cartello ne specifica il motivo e la durata. Parrebbe trattarsi di una sospensione temporanea dell’attività. Così si dice in giro. Ma intanto resta chiuso. Non si sa fino a quando; poi si vedrà.

Perché mettere in quarantena un esercizio bene avviato, dotato di locali adeguati e spazi all’aperto di tutto rispetto; che può contare su una clientela affezionata e numerosa? Siamo in molti a chiedercelo. I cugini Giuliana e Marco Ruiu, che lo gestiscono in società da qualche anno, lamentano turni di lavoro fissi e massacranti, divenuti ormai insopportabili: dalle sei alle 15 per la prima; dalle 15 alle 24 per il secondo.

Ma c’è da dire, al riguardo, che la chiusura slitta solitamente ben oltre la mezzanotte, toccando le cosiddette ore piccole. In breve, le tre o le quattro del mattino. I giovani, si sa, sono nottambuli, preferendo dormire di giorno, quando possono, fino all’ora di pranzo. Segnatamente nella buona stagione.

E allora perché non distribuire il lavoro in tre turni con alternanza settimanale, com’era un tempo? Non è facile, dicono gli interessati, trovare personale formato e disponibile in grado di curare la gestione del locale assumendosene le responsabilità conseguenti. Una ricerca in tal senso, pur avviata da qualche tempo, avrebbe dato esito negativo. Finora.

Per quanto ne ricordo, in paese il Red’s Bar è l’unico che, passando di padre in figlio, ha visto coinvolte tre generazioni a partire dai fondatori, i coniugi Andreuccia Budroni e Salvatore Ruiu, nonni paterni dei gestori attuali. Tutti gli altri esercizi non sono andati oltre la prima. Dopo di che la gestione è stata presa in carico da persone estranee a chi l’aveva inaugurata.

Il ricordo di tia Andriuzza e tiu Faricu mi rimanda a tempi lontani, e cioè ai primi anni Cinquanta del Novecento. Quando a lavorare in su buttighinu (al bar) si faticava molto e si guadagnava poco. Quando quella donna coraggiosa e coriacea il locale lo gestì anche da sola, essendo suo marito emigrato in Belgio a spalare carbone in miniera. Quando stava dietro il banco e, nello stesso tempo, assisteva suo figlio Francesco, che un male incurabile portò alla tomba ancora adolescente nell’Agosto 1959. Lo faceva con la morte nel cuore e sforzandosi quanto noi non possiamo nemmeno immaginare a non trasferire nei clienti la propria angoscia.

Altro che turni massacranti!

Ma erano altri tempi, che ora non corrono più. Meglio così. L’uomo non deve lavorare come il mulo, chinando rassegnato la testa e andando avanti comunque. Diversamente dal mulo, l’uomo è un essere pensante, dotato dell’intelligenza che gli permette di organizzarsi al meglio per superare le immancabili difficoltà di cui è disseminato ogni percorso esistenziale.

Quanto ho detto mi ha portato a riflettere su alcune questioni che riguardano Chiaramonti, il mio paese, in forte declino sul versante demografico e non solo. L’anno scorso, a fronte di 21 decessi, l’ufficio anagrafe ha registrato soltanto 5 nascite!

Ebbene, un tempo questo centro contava tre caseifici, dei quali restano solo le strutture scheletriche in abbandono. Una società che vendeva generi alimentari all’ingrosso ha trasferito da tempo la propria sede a Sassari. Un ottimo panificio, attrezzato a dovere e con un portafoglio clienti di tutto rispetto, ha chiuso i battenti col pensionamento del titolare. Insomma, il paese si è impoverito sul piano sociale oltre che demografico; è più povero anche dal punto di vista economico.

Molteplici iniziative che presero corpo in passato non esistono più soltanto perché i discendenti di quegli imprenditori coraggiosi hanno poi deciso di seguire strade diverse; talaltre, e mi riferisco ad alcune cooperative locali di cui non resta più traccia, non sono sopravvissute alla gestione inadeguata dei rispettivi amministratori.

Infine resta da sottolineare che nelle nuove leve va scomparendo l’orgoglio dell’appartenenza. Anche a un bar storico che, avviato dai fondatori una settantina di anni fa e portato avanti con sacrificio dagli immediati discendenti, ora deve subire l’onta di una incomprensibile chiusura, sia pure definita temporanea. Ma che potrebbe preludere, ahimè!, a quella definitiva.

Siamo giunti forse al punto di arrivo della regola aurea del tre: la prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza dissolve.

Il bar è un punto d’incontro vitale e svolge pertanto una funzione sociale notevole. Ebbene, vedere le serrande del Red’s Bar desolatamente abbassate mi mette addosso un che di malinconia. Ecco perché auspico che quelle serrande siano riaperte al più presto. A beneficio della comunità, innanzitutto; ma anche dei proprietari del locale.

Auguri!

 

 

Le foto sono di Martino Pinna, che ringraziamo.

 

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