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L’infinito… mio |
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Lunedì 22 Novembre 2021 23:43 | |
di Carlo Patatu
oche parole per spiegare l’origine di questa pseudo composizione, in verità piuttosto stravagante. Quand’ero studente, facevo parte della redazione di un giornaletto scolastico: “Il Grillo”.
Mi dilettavo, anche allora, a pubblicare articoli polemici. Ma mi divertivo molto anche a riprendere poesie di autori celebri, parafrasandole e modificandole a mio piacere, ma lasciandone intatta la struttura; e la rima, dove c’era. Fu così che, fra le altre, ebbi l’ardire di profanare “L’infinito”, una delle più belle e celebri poesie di Leopardi. Di certo quella che più ho amato. Ne ho ripescato il testo nei giorni scorsi, frugando fra le mie tante scartoffie. Sperando di non avere urtato troppo la suscettibilità del mio Poeta preferito e confidando molto nella sua improbabile comprensione, lo propongo ai lettori, non mancando di vergognarmi un poco.
Ecco il mio Infinito. A seguire, quello di Leopardi.
Giammai cara mi fu questa fredd’aula e questo muro, che da tanta parte del sol primaverile il guardo esclude. Ma, sedendo e pensando, voci amiche di là da quello di donzelle ridenti io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non se ne muore. E come il Manca[1] sento spiegar tra queste mura, io quella mirabile visione a questa noia vo comparando e mi sovvien d’incanto il bel volto di lei che mi sorride. Così, mollando scienza e poesia, prosatori, filosofi ed eroi, spesso si perde in classe il pensier mio: e il ripensar m’è triste a queste cose.
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L’infinito di Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
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