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Sabato 23 Luglio 2022 22:37

di Carlo Patatu

 

È accaduto l’inevitabile, ciò che doveva accadere. Il presidente del consiglio Mario Draghi, uomo tutto d’un pezzo, non ha esitato un attimo a lasciare i partiti ai loro soliti giochini e, come previsto, ha abbandonato il campo. Non sbattendo la porta, ma quasi. Fate quel che vi pare, io non ci sto. Punto.

 

I suoi interventi al Senato, stringati, ruvidi ed essenziali ma improntati alla chiarezza, lo hanno visto giganteggiare di fronte a parlamentari che non lo hanno mai avuto in simpatia e che, nel corso di un anno e mezzo di governo, lo hanno sopportato per necessità, più che per dovere. E che, cogliendo al balzo la prima occasione favorevole, gli hanno presentato il conto. Non cacciandolo votandogli contro, ma rendendogli praticamente impossibile la dignitosa prosecuzione del percorso a suo tempo tracciato col consenso di una maggioranza molto larga.

 

Poi, com’è d’uso nel nostro Paese, è iniziato il gioco dello scaricabarile. Nessuno ammette, o si fa vanto, di avere dato il benservito a un Governo sorretto da una maggioranza composita e, pertanto, difficilmente gestibile.

 

I grillini, che pure sono rimasti con la pistola ancora fumante fra le mani, dicono di non avergli votato contro, ma di essersi limitati, in due occasioni distinte, ad astenersi, non partecipando al voto. Pertanto, sottolineano, Draghi non è stato sfiduciato dal Parlamento, ma ha scelto di lasciare.  Spontaneamente e senza costrizione alcuna.

 

I leghisti si dichiarano disposti a sostenere la prosecuzione dell’attività governativa, ma lasciando fuori il Movimento 5 Stelle, a loro giudizio inaffidabile. Quindi puntando su una maggioranza nuova e ponendo mano a un’inevitabile riconsiderazione degli incarichi ministeriali. Il che non trova d’accordo Draghi. Che, nel suo intervento al Senato, aveva detto a chiare lettere che mai e poi mai avrebbe presieduto un governo con caratteristiche diverse da quelle che lo avevano visto nascere diciotto mesi fa.

 

Berlusconi, a nome di Forza Italia e mettendo da parte ogni doveroso rispetto istituzionale, si è spinto fino al punto di affermare che Mario Draghi si era stufato e aveva deciso da solo di abbandonare la partita. In fin dei conti, fatta eccezione per Fratelli d’Italia e pochi altri, nessuno lo aveva sfiduciato platealmente. In breve, se n’è andato senza ragione.

 

Che sia veramente colpa di Draghi, risoluto a non piegarsi ai giochini da sempre di moda nella gestione della politica nostrana? Mah! In Gallura si dice che “la culpa è vaggiana” (spero di averlo scritto correttamente); e cioè che la colpa è rimasta zitella, nessuno se l’è voluta sposare. Ebbene, anche in politica non c’è chi se la prenda sottobraccio. Così va il mondo.

 

Insomma, parrebbe senza colpevoli l’ultimo giallo consumatosi nei giorni scorsi nei Palazzi romani. Resta il fatto che il Governo è dimissionario, le Camere sono sciolte e la data delle elezioni fissata per il 25 Settembre. Con solo qualche mese di anticipo sulla data ordinariamente prevista. Il tutto ignorando volutamente ogni considerazione per la pandemia che incalza, il Pnrr che resta appeso a un filo, la crisi economico-sociale che mette in difficoltà gran parte delle nostre famiglie e quella energetica. Ne valeva la pena? Per ora il pensiero dominante resta quello della scelta dei candidati e della formazione delle liste. Il resto, ahinoi!, può attendere.

 

 

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