Immagini del paese
Statistiche
Tot. visite contenuti : 11429739Notizie del giorno
|
Morire in Thailandia |
Lunedì 26 Gennaio 2009 14:20 |
la compostezza dei familiari e la solidarietà degli amici Lungo il percorso, le persone che incontravo mi salutavano col solito inchino, congiungendo le mani vicino al mento! Ehi! Sono tanto importante!!! Sì, perché dovete sapere che i tailandesi uniscono le mani all'altezza del petto per gli uguali o gli inferiori, del mento nei confronti di superiori e, vicino alla fronte, nei confronti di alte personalità o al cospetto di Buddha. Certo il mio rango non è tanto alto, ma mi considerano superiore. Povero, vecchio docente di lingua italiana, per caso a Surin!!! Il viale era coperto di foglie che il vento trasportava agevolmente e sollevava anche della sabbia finissima. I motocicli 50 erano carichi, anzi stracarichi: andavano bene due persone, ma cinque, su una povera moto!!! Che cosa farebbero i nostri carabinieri, la polizia stradale, i vigili urbani? Non so come facciano a cavalcare una moto in cinque e soprattutto come facciano a starci: davanti, attaccato al manubrio è posizionato il figlio più piccolo (uno o due anni), fra le gambe della madre è sistemato il secondo (tre o quattro anni) e nel sedile posteriore, chiamiamolo così, fra la madre e il padre, è seduto il terzo figlio (cinque o sei anni)! Intendiamoci, possono cambiare le posizioni, ma il risultato resta sempre lo stesso: cinque persone su una povera moto che non ha la possibilità di lamentarsi! In effetti, questa moto tanto piccola assolve il compito della nostra Fiat Cinquecento degli anni '60-'70, quando sulla poveretta caricavamo tutta la famiglia e tutto il necessario per andare al mare. Con questi pensieri e con queste piccole considerazioni arrivavo in ufficio ed iniziavo la giornata di lavoro. Mi sembrava una giornata triste, una giornata diversa dalle altre, una giornata che pareva non volesse promettere alcunché di buono. In Italia, a casa, a Chiaramonti, sono le due di notte! Qui il giorno arriva prima ma parte anche prima... Affiorava forte, insistente si affacciava la nostalgia, la nostalgia della casa, della moglie, dei figli, dei nipoti, dei pochi amici... di tutto ciò che avevo lasciato... ma sì, corri uomo, corri!!! La preparazione della lezione per il giorno dopo mi fece dimenticare, mi annullò la nostalgia. Verso mezzogiorno, prima dell'ora di pranzo, arrivò la dottoressa Sasiwan, che mi salutò col suo solito: "Bonjour, professeur, comment ça va aujourd'hui?". "Bene" rispondo, in francese. "Conoscevate Ravee Nantha? È stato in Sardegna, l'estate scorsa, col nostro gruppo. Lo ricordate?" Ricordare tutti per me è impossibile, soprattutto per la difficoltà dei nomi e dei cognomi... e, infine, il gruppo era composto di ben 34 elementi! Mi mostrò una fotografia... eh... sì... lo ricordavo... lo ricordavo benissimo! Era stato in Sardegna, a Chiaramonti, a Perfugas, per due volte. Suonava lo strumento strano tailandese, costruito con canne di bambù: il ken. A Tula e a Badesi si era esibito con Pier Franco Marrone, l'organettista del gruppo folk Tzaramonte, accompagnando il ballo sardo: primo incontro di strumenti tanto lontani e tanto diversi che suonavano la stessa armonia. Oh, la comunicatività della musica!!! Ebbene, Ravee era morto, aveva solo 29 anni, era un bravo musicista, un bravo ragazzo... aveva solo 29 anni... un mal di testa che non lo abbandonava... era andato in farmacia... aveva comprato la medicina... era deceduto!!! Il povero Ravee non era andato dal medico, era andato in farmacia, dove liberamente, senza ricetta, si può comprare di tutto e, alla fine, nessuno risponde di eventuali errori. Qui il farmacista viene considerato un medico; ma medico non è, è solo un farmacista che vende... Inoltre, ciascuno paga di tasca le medicine, paga di tasca il medico, manca l'assistenza sanitaria, a meno che non vada in ospedale; dove, dopo un'accurata visita, può ottenere dalla farmacia interna le medicine prescritte. Alla sera,verso le 15,30, col pulmino da nove posti, io, la "Rettora", il suo vice ed altri professori partimmo per un paese della provincia di Srisaket, per fare visita alla famiglia di Ravee. Pensavo di andare incontro alla disperazione personificata, al lutto profondo, alla tristezza infinita... e... invece fummo accolti col solito inchino e col solito sorriso. All'esterno, sul piazzale, tante persone discutevano serenamente, parlavano sottovoce, quasi non volessero svegliare il dormiente. Ci venne incontro la moglie di Ravee, il figlio di quattro anni e la madre: altro inchino e altro sorriso. L'ingresso e l'interno della casa era tappezzato di stuoie: bisognava togliersi le scarpe, come è di consuetudine nelle abitazioni e nei templi. Anch'io mi tolsi le scarpe, come gli altri, ed entrai nella camera dove era stata allestita la "camera ardente". Mi ritrovai dinanzi ad un catafalco di vari colori, tutto intorno tante candele accese, un catafalco allegro che poteva parlare di tutto meno che di morte! I miei compagni di viaggio si sedettero per terra, sulle stuoie, unendo le mani in segno di preghiera. Mi invitarono a fare la stessa cosa, ma risposi che, in Italia, dinanzi al defunto si restava in piedi o si pregava stando seduti sulle sedie. Mi chiesi a chi si rivolgessero, a chi indirizzassero le loro preghiere, se si considera il fatto che il buddismo è una religione agnostica e crede nella metempsicosi dell'anima. Secondo me, sicuramente ricordavano l'uomo, il giovane, il padre, il musicista che tanto presto li aveva abbandonati... A me sovvennero i versi di Menandro, il poeta greco, i quali, se la memoria non m'inganna, recitavano: on oi theoi filousin apothneskei neos (muore giovane colui che al cielo è caro). Dopo circa dieci minuti, si rimisero in piedi, fecero l'inchino più profondo del solito e si portarono verso l'esterno. Io li seguii. Appena fuori, ci invitarono a sederci a tavola, perché dovevamo, assieme a tutti i presenti, consumare la cena in memoria, in onore del defunto. Fummo serviti dalla moglie e dalla madre del povero Ravee, mentre il figlio, con la nonna e con altri amici, si preoccupava di servire le altre persone. Improvvisamente, nella mia tavolata comparvero delle buste bianche, dove ciascuno inseriva dei soldi... Chi mille bath, chi cinquecento bath... Rimasi perplesso e chiesi notizie. Mi fu risposto che ciascuno di loro dava un'offerta per la famiglia di Ravee per... Il comune, la provincia, la regione e lo stato erano assenti in situazioni di questo genere, per cui spettava alla comunità, piccola o grande, provvedere. Anch'io volevo mettere la mia offerta dentro una di quelle buste bianche, ma me lo impedirono dicendomi che io ero straniero e che non professavo la loro religione. Appena finita la cena a base di riso, pesce e carne, arrivarono due monaci, entrarono nella camera ardente gremita di persone sedute nelle stuoie e, dopo aver ricordato la vita di Ravee, intonarono tristi e monotone nenie di canti remoti, di parole antiche e incomprensibili, almeno per me. Era il miserere, no, non era il miserere buddista! "Che cosa cantano, qual è il significato delle parole?", chiesi a chi mi stava vicino. "Non lo so", mi rispose. E sicuramente non lo sapevano nemmeno i fedeli, coloro che partecipavano al rito, perché erano e sono canti, sono parole di lingua diversa che arrivano, da oltre duemila anni, dall'India meridionale, dove il buddismo, religione agnostica, era nato 2552 anni fa. Mi ricordai del latino dei nostri sacerdoti, di quel latino incomprensibile per i nostri nonni che, con tutta la buona fede del mondo e anche del cielo, cantavano "bona punta a coscia" per "bona cuncta posce" dell'”Ave stella maris”, o altri stupendi strafalcioni che il buon Dio probabilmente accettava quale preghiera gradita. Alla fine della funzione, il vice ci ordinò di rientrare a Surin. Era giunto il momento del commiato, il momento dell'addio. La moglie, il figlio e la madre ci vennero incontro, ci rivolsero il solito inchino, il solito sorriso e ci ringraziarono per la nostra presenza, per la nostra partecipazione. Io fui salutato per ultimo dalla madre di Ravee, la quale, quando le dissero che ero italiano, che ero arrivato dall'Italia, guardò verso il cielo e mi abbracciò, ripetendo: "Kop kun ka, Italy" (grazie, Italia). Stavano per sgorgarmi le lacrime, le mie dure, impossibili lacrime... non avevo parole, non le trovavo! Alla fine ebbi la forza di rispondere: "Mai pen lai krap" (grazie). Quanta compostezza, quanta rassegnazione, quanta gioia esteriore nella madre di Ravee; ma quanta e quanta tristezza dentro il mio cuore! E... riprendemmo il viaggio di ritorno, mentre il mio pensiero ritornava al povero Ravee che era morto a 29 anni, che lasciava la moglie e i due figli, uno di quattro anni e l'altro ancora nella culla. Queste e tante altre considerazioni affollavano la mia mente. Il lunedì, come tutti, in Tailandia, paese senza cimiteri, il giovane sarebbe stato cremato e le sue ceneri, depositate in tre cassettine, sarebbero state restituite alla famiglia per conservarle nella propria abitazione e nel tempio. Le ceneri della terza cassettina sarebbero finite in mare, nell'ampio golfo del Bengala.
Il vento è cessato. Addio Ravee.
|
Ultimo aggiornamento Giovedì 29 Gennaio 2009 13:32 |
Ci piace ricordarlo così, anche noi come i suoi familiari con un sorriso, con un ricordo allegro e piacevole... come lui!
Da Chiaramonti "Arrivederci Ravee!"
Marina Manghina