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La Tribuna: Risanamento casa Falchi |
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Mercoledì 18 Maggio 2011 11:04 |
Il risanamento urbanistico che ha interessato casa Falchi, sembrerebbe concluso, almeno per il corpo di fabbrica. Lo definisco "risanamento" perché "restauro" è altra cosa.
Con la rimozione del vecchio intonaco in malta calcarea, sono apparsi
Infatti, a parer mio, dei proprietari con i quali ho avuto breve colloquio e non solo, risultano parte integrante di altra struttura a carattere religioso: verosimile della vecchia parrocchiale di "Su Monte 'e Cheja" o di altre lì vicino: "sa cheja 'e Santa Rughe" e quella di "Santu Luisi" presso "Su Monte ‘e Cheja", anche loro andate distrutte.
Nel verbale della visita pastorale del 1851 (archivio parrocchiale) si legge: "...oltre 20 si contano le chiese che un giorno esistevano in questo villaggio". Non c'era, infatti, che l'imbarazzo della scelta.
Stabilita questa ipotesi di provenienza, proviamo ad analizzarle: vengono raffigurate due "crux decussata", più conosciuta come croce di Sant'Andrea e l'altra a forma di losanga doppia con foro cieco centrale; sotto gli elementi a rilievo e forma geometrizzante e, una appena accennata, risulta incisa una semicurva o archetto che, preso nel singolare, mal si attesta nell'insieme, trovandosi anche nell'altro elemento e posizionato in modo simmetrico anch'esso.
È retorica ipotizzare che i due manufatti facessero parte di un disegno più articolato a composizione di una unica lastra, che è stata poi segata per realizzare due blocchi distinti? Si spiegherebbe così l'asimmetria dei rilievi non in linea con la base. Certo è che non si conforma con la struttura ospitante e ne soffrono l'impiego per il contesto non storico a loro assegnato. Gli storici la definirebbero "impostura".
Ma è altra storia, alla quale non possiamo dare risposte; ed è anche per questo che non assegno l'aggettivo "splendidi" alle parti. Questa personalissima analisi è esposta al beneficio di altre supposizioni.
Le scritte del periodo fascista, inserite nell'elemento segna-piano, risultano delebili e non leggibili; non come nella palazzina dirimpettaia, ma non posso affermare che lo fossero anche prima dell'intervento.
Non entro nel merito dell'esame relativo ai materiali utilizzati a risanamento dell'impianto. Personalmente avrei proceduto in maniera diversa, con altri propri del periodo di fabbrica: per l'intonaco, calci idrauliche naturali nelle diverse fasi, almeno tre, e per effetto del colore, l'utilizzo di ossidi miscelati sempre con calce. D'altronde com'era in origine, e se la durata è stata di oltre cinquanta-sessanta anni, come minimo, un motivo c'è.
Infatti, nelle parti interessate dall'intervento, sono già evidenti le numerose screpolature
Ma è anche vero che l'intervento di cui facevo cenno avrebbe prorogato i tempi di lavorazione e i prezzi delle calci, alquanto superiore rispetto a quello utilizzato, avrebbe prodotto costi non certamente trascurabili.
A corredo del risanamento esterno mancano i serramenti, che erano in legno. Immagino, senza dubbio, che i proprietari utilizzino gli stessi se in buon stato di conservazione, o sostituirli con lo stessa essenza.
In giro possiamo notare interventi fatti con materiali diversi: alluminio e pvc che mal si attestano con gli interventi riqualificativi del centro storico e in contrasto con le indicazioni impositive, sia per valersi dei contributi regionali e soprattutto come fattore storico-estetico. Ricordarlo e utilizzarlo come metodo di lavoro, se vogliamo conservare quel poco che è rimasto, è d'obbligo.
Ma va bene così.
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