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Buon compleanno, mia cara Repubblica Italiana! PDF Stampa E-mail
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Mercoledì 02 Giugno 2021 11:42

75 anni fa, l’esito del referendum indetto alla fine della guerra e dopo la catastrofica esperienza fascista, affidava l’Italia e il suo popolo a una nuova forma di governo che, nonostante le difficoltà, regge ancora bene e ci fa progredire nella democrazia e nella libertà

di Carlo Patatu

O

ggi festeggiamo il 75° compleanno della nostra Repubblica, nata col referendum del 2 Giugno 1946, un anno dopo la fine della guerra.

Gli italiani, chiamati e decidere se, dopo la catastrofe del fascismo, a reggere le sorti dell’Italia doveva essere ancora la monarchia dei Savoia oppure, con una storica inversione a U, affidarsi al regime repubblicano, di certo più democratico e più consono ai tempi nuovi che già si delineavano all’orizzonte.

Gli elettori, fra i quali, per la prima volta nella nostra storia, c’erano anche le donne, preferirono la repubblica, lasciando i Savoia al loro destino. Che è stato avaro di soddisfazioni e di successi, da allora in poi. L’ex re Vittorio Emanuele III, che aveva regnato dal 1900 ai primi di Maggio 1946) se ne andò in esilio ad Alessandria d’Egitto, dove morì un anno e mezzo dopo (Dicembre 1947). Umberto II, suo figlio, re per una quarantina di giorni dopo l’abdicazione del padre (dal 9 Maggio 1946 al 18 Giugno successivo), si ritirò in esilio in Portogallo, a Cascais, dove visse praticando un riserbo dignitoso. Nato a Racconigi (TO) nel 1904, morì a Ginevra nel 1983.

Capo provvisorio dello Stato, subito dopo il referendum, fu eletto Enrico de Nicola, uomo politico e avvocato napoletano. Il primo Presidente della Repubblica fu eletto dopo l’entrata in vigore della costituzione e l’approvazione delle prime leggi attuative. Il Parlamento riunito in seduta comune il 12 Maggio 1948 scelse Luigi Einaudi, piemontese, intellettuale ed economista di fama mondiale.

Dello svolgimento del referendum e delle votazioni per eleggere i deputati dell’Assemblea Costituente ho un ricordo preciso. Avevo dieci anni e mezzo e frequentavo la quarta elementare col maestro Pasquale Brau. Ricordo il movimento per le vie del paese, l’andirivieni delle persone, in ansia per la novità. In Italia non si votava più da circa un ventennio. E poi c’era da tener conto del fatto che, finalmente, ci si era accorti che il popolo era composto non di soli uomini, ma anche di donne. Che, fino ad allora, se ne dovevano restare relegate in cucina o in camera da letto. A sbrigare le faccende domestiche, partorire e allevare i figli.

Ricordo che a Chiaramonti, uno dei pochi comuni in controtendenza rispetto al resto della Sardegna, al referendum la spuntò la Repubblica. Il che, allora, mi dispiacque molto. Del re m’importava ben poco. Di lui conoscevo l’immagine con baffetti impressa sulle monete e stampata sui francobolli, oltre che sui libri di testo. Ma il parroco Dedola, al quale servivo messa in veste di chierichetto, m’invitava a pregare perché il re e la sua “bella famiglia” non fossero sfrattati dal Quirinale. Probabilmente pregai poco e male.

Ma un’altra ragione, per me ben più importante, mi aveva procurato dispiacere per la sconfitta della Monarchia. Il signor Antonino Falchi, mitico orologiaio-fotografo col quale la mia famiglia coabitava in una palazzina di via Lamarmora (Carrela’e su Puttu), era un fervente monarchico e non faceva che decantare le virtù dei Savoia e della stirpe intera. Premesso che il signor Antonino non si radeva la barba da alcuni decenni, in quella circostanza promise solennemente che, se al referendum avesse vinto la Monarchia, l’avrebbe fatta sparire con forbici e rasoio.

Io non vedevo l’ora di vedere cosa stava sotto quel barbone biblico, bianco e fluente. Ma restai con un palmo di naso. La sconfitta della Monarchia aveva salvato per sempre quella barba, che il signor Antonino si portò intatta nella tomba.

 

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