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Indovina chi viene a cena |
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Lunedì 24 Settembre 2018 09:35 |
di Carlo Patatu «Preferisco incontrarmi con gli avversari a una buona tavola, piuttosto che inondarli di note diplomatiche». L’affermazione, attribuita a Papa Giovanni (la cui santità non ne fu intaccata), la dice lunga sugli effetti taumaturgici prodotti dal discutere di cose complicate attorno a una tavola imbandita.
Cun sa banca a pettorra[1], diciamo da queste parti. Da qui le cosiddette cene di lavoro che vedono riuniti, di tanto in tanto, capi di stato e di governo, ministri e uomini d’affari. Anche a me, quand’ero sindaco e dirigente scolastico, è capitato talvolta di ricorrere a una banca bene apparizzada[2] per tentare di risolvere certi problemi intricati. Ebbene, posso testimoniare che la cosa funziona.
Ricordo la famosa Cena col diavolo del 7 luglio 1815, poco meno di un mese dopo la battaglia di Waterloo. Vi parteciparono Joseph Fouché, già ministro di Napoleone e allora capo del governo provvisorio, e il principe Charles de Talleyrand. Il quale era stato collaboratore di Luigi XVI, poi della Rivoluzione, poi di Napoleone e infine della Restaurazione. Ottimo menu e risultato conseguente. Talleyrand rappresentò la Francia al Congresso di Vienna. Per dibattere su questioni di partito, i democristiani si affidavano a cene ristrette alla Camilluccia. Dove, lontani da orecchie e occhi indiscreti, discutevano assaporando piatti gustosi preparati da chef di rango. Si racconta che, nella stragrande maggioranza dei casi, l’intesa si materializzava ancor prima del caffè.
Ci fu anche la cena fra Berlusconi e Bossi a Villa Certosa, immortalata dalle foto impietose che ritraevano il capo leghista in canotta bianca e braghette blu da ragiunatt in gita a Porto Cervo. Per ultimo, l’incontro in un ristorante di Catania fra Salvini, Berlusconi e Meloni alla vigilia delle recenti elezioni regionali siciliane. Cena squisita con torta finale, foto a tre e sorrisi a trentadue denti nonostante i lunghi coltelli che ciascuno teneva in serbo per gli altri due; ma la cosa non ha avuto il seguito sperato. Vedansi le vicende legate alla formazione del Governo Conte.
Forse incoraggiato da tanti precedenti illustri, anche Calenda, recente acquisto del PD sconfitto, è stato tentato dall’idea di risolvere a tavola il garbuglio di questioni che agitano i democratici e tolgono il sonno a chi, come me, ha ancora la testardaggine di stare da quella parte, non trovando di meglio. Detto fatto. Fa partire gli inviti a Renzi, Gentiloni e Minniti. Tavolo con quattro coperti, dunque. Ohibò! Perché solo quattro? E gli altri? Non l’hanno presa bene i Franceschini, gli Emiliano, gli Orfini e i Rosato, snobbati dall’improvvisato anfitrione. Per tacere di Zingaretti. Che, primo e finora unico pretendente al soglio di segretario PD, l’ha presa proprio male. Tant’è che, per controbilanciare, di cena ne ha annunciato una anche lui. Una controcena con inviti destinati a un imprenditore, un operaio, uno studente, un professore, un volontario, un professionista. Per dirsi cosa, poi… In breve, divisi anche nelle cene.
Povero PD, com’è ridotto male! I reggitori delle sorti nel passato recente, scaldando inutilmente, tronfi e arroganti, le poltrone con gli augusti deretani, hanno perso non soltanto il senso dell’orientamento; ma pure quello del ridicolo. Impegnati in una guerra fratricida senza quartiere, non sanno più che pesci prendere. A costo di violare la legge Fornero, andrebbero collocati a riposo d’ufficio. Subito! Di disastri ne hanno combinati fin troppi. Vadano a casa e lascino il campo a chi conosce ancora il significato di Sinistra e Destra. Le loro facce non sono più credibili. Con o senza barba. Gli elettori di sinistra reclamano idee e programmi concreti da attuare con una classe dirigente nuova. Non compromessa, credibile e preparata. Capace di raccontare cose serie e non fandonie.
Questo ci vuole; altro che cenette intime fra compari. Oppure si vuole che la gente continui a lasciarsi infinocchiare dagli imbonitori giallo-verdi? Che, come il Gatto e la Volpe con Pinocchio, fanno strabuzzare gli occhi ai più sciorinando promesse che sanno di non poter mantenere e sogni a buon mercato che si dissolvono all’alba. Confesso che sono preoccupato; e non poco. Ne ho ragione? Fate un po’ voi.
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Bellissimo articolo Carlo.
Ma, tra le ragioni che hanno portato alla batosta del 04 marzo, hai dimenticato che al primo posto per gli italiani c'è il problema della immigrazione. Poi hai dimenticato di citare le cene indimenticabili di Totò Riina, dove gli invitati si presentavano angosciati a tavola! Ma te ne parlerò " a cena".
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L'immigrazione in sé non rappresenta ancora un'emergenza. Tale è percepita grazie al modo del tutto inadeguato col quale i governi degli ultimi dieci anni l'hanno gestita. Oggi pare che tutti i mali dell'Italia dipendano dagli immigrati. Non la mafia, la ndrangheta e la camorra; non gli evasori e le inefficienze dell'apparato pubblico; non la Scuola abbandonata a se stessa; non la corruzione e le ruberie generalizzate. Il male assoluto dello Stivale sono gli immigrati. Che, ma tu lo sai bene, sono diventati un problemaccio soprattutto grazie alle sparate leghiste e dei pentastellati.
Se ben governato, il fenomeno immigrazione (che non potremo arrestare comunque, la storia ce lo insegna) può tradursi in un vantaggio. Lo scoprirà chi camperà più di noi.
Meno male che ora sono al governo del Paese i campioni del diritto e dell'onestà. Vedremo cosa sapranno fare di meglio. (c.p.)