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Liturgia pasquale fra tradizione innovazione PDF Stampa E-mail
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Scritto da Carlo Patatu   
Mercoledì 15 Aprile 2009 00:16

Diciamolo subito: la liturgia della settimana Santa esercita da sempre un fascino particolare sui fedeli. Ma anche su chi non crede. Forse più intenso che nelle festività natalizie, potremmo azzardarci ad affermare. A costo di ricevere qualche smentita.

"Pasca de abrile", si dice da queste parti. Per distinguerla dall'altra, "Pasca 'e nadale". Non a caso, la stessa produzione dolciaria nostrana registra, per "Pasca de abrile", una varietà di prodotti nemmeno comparabile a quanto si fa a Nadale, Carrasciale, Mesaustu, Sos Santos...


È innegabile che la vicenda terrena del Cristo, del Dio-Uomo che s'immola per la salvezza dell'umanità, si presta bene all'allestimento delle sacre rappresentazioni. Che, un po' dappertutto, si svolgono durante il periodo quaresimale e, segnatamente, nella settimana Santa. La passione, il supplizio, la morte e la resurrezione sono momenti di grande coinvolgimento emotivo. E le cerimonie previste dalla liturgia, grazie anche al supporto offerto dalle drammatizzazioni in costumi d'epoca, non mancano di suscitare nei fedeli, come pure nei semplici spettatori, emozioni di grande intensità.

Chiaramonti, com'è ovvio, non poteva fare eccezione. Anche da queste parti, la consuetudine è stata rispettata. Una consuetudine peraltro ripristinata in tempi recenti, dopo un vuoto di circa un quarto di secolo. Ecco quindi la benedizione delle palme a San Giovanni, la Via crucis per le strade dell'abitato la sera del mercoledì Santo, la "Missa in coena domini" del giovedì, "Sas chircas mudas" e "S'incravamentu" del venerdì mattina e, nel pomeriggio, "S'iscravamentu". Infine, la funzione solenne domenicale con "S'incontru". La confraternita di Santa Croce, sos zenturiones, i cori maschile e femminile, sas matracas in luogo delle campane silenziose per il lutto, sono stati la degna cornice di queste liturgie.

Ma, accanto alla tradizione, ha fatto capolino pure l'innovazione. Un tocco di novità voluto e introdotto dal giovane parroco don Virgilio Businco. Che è riuscito a coinvolgere nell'iniziativa un bel gruppo di giovani. Che, a loro volta, hanno dato vita alla drammatizzazione della Via crucis all’aperto, conclusasi con una fiaccolata fra i ruderi del castello medievale e della vecchia parrocchiale. Centurioni romani e pie donne in costume, accompagnati da voci narranti lungo le singole stazioni del percorso, hanno bene rappresentato la passione del Cristo fino al momento estremo. Questa è stata la prima novità.

Altre ce ne sono state a "S'iscravamentu". Il predicatore che illustrava le fasi della deposizione e dettava i tempi della cerimonia, il vicario generale della diocesi mons. Antonio Loriga, ha pronunciato un'omelia prendendo in prestito i passi più significativi di una bella "preiga" in lingua sarda del canonico berchiddese Pietro Casu (1878-1954). Le parole di quel grande oratore e poeta (ha tradotto in sardo la Divina Commedia), pronunciate in un logudorese licchìttu e latineggiante, hanno creato all'interno della chiesa affollata un'atmosfera magica. Pure noi, che vi abbiamo assistito, abbiamo vissuto momenti di grande emozione. Ancorché non credenti. Abbiamo chiesto all'oratore di fornirci il testo di quell'intervento, che ci piacerebbe pubblicare per intero. Speriamo di averlo.

Altra novità: il bacio dei piedi del Cristo deposto lo si è programmato prima dell'uscita in processione; e non dopo, come avveniva in passato. Infine, anche la processione pasquale de "S'incontru" si è svolta prima della messa e non dopo. Ci è stato spiegato che l'incontro della madre col figlio risorto pare essere più congruente se anteposto alla messa, celebrata in presenza di entrambi i simulacri esposti dinanzi all’altare maggiore. Quelle statue, quando noi eravamo bambini, s'incontravano invece direttamente dentro la chiesa il giorno di Pasqua, per essere poi esposte alla venerazione pubblica durante la processione, al termine de "sa missa manna".

Dulcis in fundo, Nicodemo e Giuseppe di Arimatea, i due zenturiones interpreti de "S'iscravamentu" e che anche quest'anno avevano i volti che siamo abituati a vedere ormai da tempo immemorabile, per la processione domenicale hanno cambiato sembianze. I costumi d'epoca dai colori sgargianti sono stati messi addosso a due giovani confratelli di Santa Croce. Ci è parsa un’ottima scelta. Era ora. Per il futuro sarà bene seguire questa strada e fare in modo che ogni anno i due attori siano sempre diversi. Un modo come un altro per coinvolgere più persone. E fare largo ai giovani, che ne hanno diritto.

Per chiudere, una bella ottava di Remundu Piras, che in palco svolgeva in poesia il tema inerente al numero tre:

Tres annos at preigadu si bi crese
tres oras est istadu in agonia;
tres giaos l'ana postu a su Messia
duos in manos e-i s'atter'in pese;
feminas pias piantu l'an trese
Madalena, Veronica e Maria:
e tres fin puru sos chi l'an tentadu,
a sas tres dies est resuscitadu.


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Ducas, a un'ater'annu mezus!

 

Ultimo aggiornamento Martedì 30 Marzo 2010 13:05
 

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